sabato 25 marzo 2017



 LA RAGAZZA DEL TRENO
di CHIARA RAINERI

Era una stazione dei treni piccola, tipicamente provinciale. Anzi, forse non si poteva neanche definire una vera e propria stazione, ma agli occhi degli abitanti del paese quello era sempre stato il più grande centro di comunicazione con il resto del mondo, perciò non aveva mai perso quell’appellativo. Vantava persino uno spazzino personale, che ogni giorno con la sua storica ramazza si dedicava al tranquillo compito di far precipitare foglie secche e cicche di sigarette giù dal marciapiede nell’unico binario ancora funzionante o, se andava bene, in un sacco nero del pattume. Era un uomo solerte, e intraprendeva quel rituale senza saltare un giorno da più di dieci anni. Anche quella mattina si recò alla stazione, puntuale come al solito mezz’ora prima del primo treno della giornata. Faceva già caldo, ma gli alti pioppi che circondavano il marciapiede fornivano una discreta protezione dagli inclementi raggi solari, anche più della tettoia semitrasparente e piena di fessure.
Lei era già lì. Niente di strano, lei era sempre lì quando i pesanti colpi di tosse dello spazzino lo precedevano infrangendo la sinfonia delle cinciallegre. Lui accostò la mano al cappello come ogni giorno e lei ricambiò con un sorriso. Era un rito che andava avanti ormai da due mesi. Non era più una ragazza giovanissima e non era nemmeno particolarmente bella, ma ogni giorno si presentava alla stazione con abiti ricercati e puliti, sedendosi sempre sulla stessa panchina e reggendo sulle ginocchia sempre la stessa scatola decorata con motivi allegri e fiocchi. Sedeva con la schiena dritta e un sorriso impaziente senza muoversi di un millimetro fino a quando le campane non battevano le dieci, allorché si alzava in piedi e si andava a piazzare un pelo dietro la linea gialla e si sporgeva ansiosa cercando di vedere se il treno arrivava, con l’espressione di chi sta aspettando una persona di ritorno da un lungo viaggio. Al paese si diceva che era pazza. In effetti il suo comportamento lo lasciava intendere abbastanza chiaramente: una volta arrivato il treno rimaneva a fissare in attesa la porta e il viavai di persone che salivano e scendevano, poi, quando le porte si chiudevano e il treno ripartiva, lei se ne andava, schiena dritta e sorriso stampato. Ma non c’era dolore nel suo sguardo, anzi c’era una qualsorta di soddisfazione, come se avesse ottenuto esattamente quello per cui era venuta. E così se ne andava, probabilmente a casa sua, e il giorno dopo eccola ancora lì sulla panchina in attesa.
Lo spazzino rimaneva spesso a guardarla e a cercare di capire quale fosse il senso delle sue azioni, ma non riusciva proprio a capacitarsene. Quel giorno, però, si sentiva particolarmente ispirato, così decise di intraprendere una conversazione con la ragazza. Finì alla svelta il suo lavoro e le si avvicinò con fare disinvolto, appoggiò la scopa a terra e mise le mani nelle tasche bucate dei calzoni.
       Buongiorno, bella mattina oggi, non le pare? Tempo magnifico.
Lei lo guardò con un sorriso e iniziò a parlare con una voce leggermente roca, con un’intonazione strana, quasi sognante:
       Buongiorno a lei. Sì, sono d’accordo, il tempo è veramente splendido e non è per niente umido.
       Già, anche se forse un po’ di pioggia farebbe bene ai raccolti.
Fece una pausa ed emise un rumoroso colpo di tosse, poi decise di andare subito al punto.
       Sa, io vengo qui a pulire il marciapiede ormai da undici anni, e mi è capitato di vedere davvero di tutto. Ultimamente ho notato che ogni giorno lei viene qui abbigliata a festa ed è come se stesse aspettando qualcuno. Mi perdoni se mi impiccio dei suoi affari, ma sarei curioso di sapere: aspetta forse qualcuno?
Lei non perse il sorriso e si mise a osservare le colline all’orizzonte, poi rispose.
       Sì, sto aspettando mio padre. È partito due giorni fa e mi ha detto che sarebbe arrivato oggi. Sono così felice di rivederlo, non sto più nella pelle! Gli ho preparato dei biscotti con la marmellata, vede? Li ho fatti io e ci ho messo la marmellata di prugne che è la sua preferita. E a casa lo aspetta un bel pranzo, sa, è tutto ieri che lo sto preparando!
Lo spazzino la guardò. Due giorni fa? Allora era proprio pazza come si diceva in giro? Voleva dire qualcosa, ma lei non lo lasciò aprir bocca, era come se stesse parlando a se stessa, velocemente e con una voce un tantino isterica, che gli mise addosso una certa inquietudine.
Sono davvero molto impaziente, non vedo l’ora che arrivi il treno! Mio padre è un avvocato, sa? Non ho mai capito esattamente in cosa consistesse il suo lavoro ma sono certa che sia molto bello! E lui lo ama così tanto! Sa, mi ha detto che questo è un viaggio di lavoro, e io ero così emozionata! Sì, perché non aveva mai fatto dei viaggi di lavoro prima, quindi deve essere proprio diventato importante! Deve sapere che mio padre è proprio un brav’uomo, onestissimo, che ha fatto un sacco di sacrifici nella sua vita e ha sempre affrontato tutte le difficoltà! Ah, che uomo dolce e affidabile che è! Sa, io sono figlia unica e per questo mi ha sempre amata moltissimo! Ah, mi ricordo quando ero piccola e mi portava sempre al mare in estate. Ci

       sedevamo sui moli a contare le navi e mi comprava il gelato. Lui è così bravo a contare, non so proprio come riesca a farlo così velocemente! Quando è andato via è partiro prestissimo al mattino e non ha avuto cuore di svegliarmi, anche se ci tenevo così tanto a salutarlo! Beh, poco male perché tra poco potrò riabbracciarlo! Non sa quanto sono emozionata!
Finalmente fece una pausa, e lo spazzino ne approfittò per parlare, nonostante il forte disagio che provava.
       Uhm, ma è proprio sicura che suo padre debba arrivare oggi? Insomma, è partito un bel po’ di tempo fa…
       Ma sì, ma sì, me l’ha detto lui esplicitamente! Eh, due giorni lontano da casa sono tanti, lo so, ma lui è forte, lo dico io! Chissà come sarà stanco quando tornerà!
       Mi scusi, posso chiederle come si chiama suo padre?
A quella domanda lei si volse e lo guardò negli occhi. Il suo sorriso si era leggermente incrinato e quel suo sguardo gli fece venire i brividi.
       Come… si chiama? Sa, non riesco proprio a ricordarmelo. Ma è davvero importante? Ah, speriamo che i biscotti non si guastino con questo caldo, ci ho messo un pomeriggio intero per farli! Di solito lui li mangia con il latte, ma non potevo portarlo qui! Ahaha, no di certo! Dovrà aspettare quando torneremo a casa, ah, mi dispiace così tanto! Ah, ma ora non posso più parlare, sta per arrivare il treno! Sente, sono scoccate le dieci, sta arrivando, sta arrivando! Oh, sono così emozionata! Buona giornata, buona giornata!
L’uomo non poté fare altro che aprire e chiudere la bocca senza essere in grado di emettere alcun suono, frastornato, inebetito. Rimase lì fermo a osservare col cuore colmo di compassione quella povera ragazza che, come ogni giorno, rimaneva ad aspettare un uomo che non poteva arrivare, e che se ne andava a casa, persa in un mondo che era solo suo e da cui non poteva fuggire, e che sarebbe tornata il giorno dopo e quello ancora successivo e ancora. Per quanto? Questo era del tutto imprevedibile. Eppure in quel viso così speranzoso, in quei lineamenti, nel colore dei suoi occhi, lui aveva riconosciuto una somiglianza, una somiglianza atroce, di un viso che era finito su tutti i giornali, di un viso che si era volutamente poggiato su quello stesso binario ed era stato devastato dallo stesso treno con cui la ragazza sperava di vederlo tornare.

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