LA RAGAZZA DEL TRENO
di CHIARA RAINERI
Era una stazione dei treni piccola,
tipicamente provinciale. Anzi, forse non si poteva neanche definire una vera e
propria stazione, ma agli occhi degli abitanti del paese quello era sempre
stato il più grande centro di comunicazione con il resto del mondo, perciò non
aveva mai perso quell’appellativo. Vantava persino uno spazzino personale, che
ogni giorno con la sua storica ramazza si dedicava al tranquillo compito di far
precipitare foglie secche e cicche di sigarette giù dal marciapiede nell’unico
binario ancora funzionante o, se andava bene, in un sacco nero del pattume. Era
un uomo solerte, e intraprendeva quel rituale senza saltare un giorno da più di
dieci anni. Anche quella mattina si recò alla stazione, puntuale come al solito
mezz’ora prima del primo treno della giornata. Faceva già caldo, ma gli alti
pioppi che circondavano il marciapiede fornivano una discreta protezione dagli
inclementi raggi solari, anche più della tettoia semitrasparente e piena di
fessure.
Lei era già lì. Niente di strano, lei
era sempre lì quando i pesanti colpi di tosse dello spazzino lo precedevano
infrangendo la sinfonia delle cinciallegre. Lui accostò la mano al cappello
come ogni giorno e lei ricambiò con un sorriso. Era un rito che andava avanti
ormai da due mesi. Non era più una ragazza giovanissima e non era nemmeno
particolarmente bella, ma ogni giorno si presentava alla stazione con abiti
ricercati e puliti, sedendosi sempre sulla stessa panchina e reggendo sulle
ginocchia sempre la stessa scatola decorata con motivi allegri e fiocchi.
Sedeva con la schiena dritta e un sorriso impaziente senza muoversi di un
millimetro fino a quando le campane non battevano le dieci, allorché si alzava
in piedi e si andava a piazzare un pelo dietro la linea gialla e si sporgeva
ansiosa cercando di vedere se il treno arrivava, con l’espressione di chi sta
aspettando una persona di ritorno da un lungo viaggio. Al paese si diceva che
era pazza. In effetti il suo comportamento lo lasciava intendere abbastanza
chiaramente: una volta arrivato il treno rimaneva a fissare in attesa la porta
e il viavai di persone che salivano e scendevano, poi, quando le porte si
chiudevano e il treno ripartiva, lei se ne andava, schiena dritta e sorriso
stampato. Ma non c’era dolore nel suo sguardo, anzi c’era una qualsorta di
soddisfazione, come se avesse ottenuto esattamente quello per cui era venuta. E
così se ne andava, probabilmente a casa sua, e il giorno dopo eccola ancora lì
sulla panchina in attesa.
Lo spazzino rimaneva spesso a guardarla
e a cercare di capire quale fosse il senso delle sue azioni, ma non riusciva
proprio a capacitarsene. Quel giorno, però, si sentiva particolarmente
ispirato, così decise di intraprendere una conversazione con la ragazza. Finì
alla svelta il suo lavoro e le si avvicinò con fare disinvolto, appoggiò la
scopa a terra e mise le mani nelle tasche bucate dei calzoni.
–
Buongiorno, bella mattina oggi,
non le pare? Tempo magnifico.
Lei lo guardò con un sorriso e iniziò a
parlare con una voce leggermente roca, con un’intonazione strana, quasi
sognante:
–
Buongiorno a lei. Sì, sono
d’accordo, il tempo è veramente splendido e non è per niente umido.
–
Già, anche se forse un po’ di
pioggia farebbe bene ai raccolti.
Fece una pausa ed emise un rumoroso
colpo di tosse, poi decise di andare subito al punto.
–
Sa, io vengo qui a pulire il
marciapiede ormai da undici anni, e mi è capitato di vedere davvero di tutto.
Ultimamente ho notato che ogni giorno lei viene qui abbigliata a festa ed è
come se stesse aspettando qualcuno. Mi perdoni se mi impiccio dei suoi affari,
ma sarei curioso di sapere: aspetta forse qualcuno?
Lei non perse il sorriso e si mise a
osservare le colline all’orizzonte, poi rispose.
–
Sì, sto aspettando mio padre. È
partito due giorni fa e mi ha detto che sarebbe arrivato oggi. Sono così felice
di rivederlo, non sto più nella pelle! Gli ho preparato dei biscotti con la
marmellata, vede? Li ho fatti io e ci ho messo la marmellata di prugne che è la
sua preferita. E a casa lo aspetta un bel pranzo, sa, è tutto ieri che lo sto
preparando!
Lo spazzino la guardò. Due giorni fa?
Allora era proprio pazza come si diceva in giro? Voleva dire qualcosa, ma lei
non lo lasciò aprir bocca, era come se stesse parlando a se stessa, velocemente
e con una voce un tantino isterica, che gli mise addosso una certa
inquietudine.
Sono davvero molto impaziente, non vedo l’ora
che arrivi il treno! Mio padre è un avvocato, sa? Non ho mai capito esattamente
in cosa consistesse il suo lavoro ma sono certa che sia molto bello! E lui lo
ama così tanto! Sa, mi ha detto che questo è un viaggio di lavoro, e io ero
così emozionata! Sì, perché non aveva mai fatto dei viaggi di lavoro prima,
quindi deve essere proprio diventato importante! Deve sapere che mio padre è
proprio un brav’uomo, onestissimo, che ha fatto un sacco di sacrifici nella sua
vita e ha sempre affrontato tutte le difficoltà! Ah, che uomo dolce e
affidabile che è! Sa, io sono figlia unica e per questo mi ha sempre amata
moltissimo! Ah, mi ricordo quando ero piccola e mi portava sempre al mare in
estate. Ci
–
sedevamo sui moli a contare le
navi e mi comprava il gelato. Lui è così bravo a contare, non so proprio come
riesca a farlo così velocemente! Quando è andato via è partiro prestissimo al
mattino e non ha avuto cuore di svegliarmi, anche se ci tenevo così tanto a
salutarlo! Beh, poco male perché tra poco potrò riabbracciarlo! Non sa quanto
sono emozionata!
Finalmente fece una pausa, e lo spazzino
ne approfittò per parlare, nonostante il forte disagio che provava.
–
Uhm, ma è proprio sicura che suo
padre debba arrivare oggi? Insomma, è partito un bel po’ di tempo fa…
–
Ma sì, ma sì, me l’ha detto lui
esplicitamente! Eh, due giorni lontano da casa sono tanti, lo so, ma lui è
forte, lo dico io! Chissà come sarà stanco quando tornerà!
–
Mi scusi, posso chiederle come si
chiama suo padre?
A quella domanda lei si volse e lo
guardò negli occhi. Il suo sorriso si era leggermente incrinato e quel suo
sguardo gli fece venire i brividi.
–
Come… si chiama? Sa, non riesco
proprio a ricordarmelo. Ma è davvero importante? Ah, speriamo che i biscotti
non si guastino con questo caldo, ci ho messo un pomeriggio intero per farli!
Di solito lui li mangia con il latte, ma non potevo portarlo qui! Ahaha, no di
certo! Dovrà aspettare quando torneremo a casa, ah, mi dispiace così tanto! Ah,
ma ora non posso più parlare, sta per arrivare il treno! Sente, sono scoccate
le dieci, sta arrivando, sta arrivando! Oh, sono così emozionata! Buona
giornata, buona giornata!
L’uomo non poté fare altro che aprire e
chiudere la bocca senza essere in grado di emettere alcun suono, frastornato,
inebetito. Rimase lì fermo a osservare col cuore colmo di compassione quella
povera ragazza che, come ogni giorno, rimaneva ad aspettare un uomo che non
poteva arrivare, e che se ne andava a casa, persa in un mondo che era solo suo
e da cui non poteva fuggire, e che sarebbe tornata il giorno dopo e quello ancora successivo e ancora. Per quanto? Questo era
del tutto imprevedibile. Eppure in quel viso così speranzoso, in quei
lineamenti, nel colore dei suoi occhi, lui aveva riconosciuto una somiglianza,
una somiglianza atroce, di un viso che era finito su tutti i giornali, di un
viso che si era volutamente poggiato su quello stesso binario ed era stato devastato
dallo stesso treno con cui la ragazza sperava di vederlo tornare.

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