LA FARFALLA LA LUCERTOLA E I RAGNI
DI CHIARA RAINERI
Non si potrà mai trovare il silenzio.
Ovunque tu vada nel mondo dei rumori
disturberanno sempre le tue orecchie.
Ci sono rumori buoni, come il canto
degli uccelli, lo scorrere dell’acqua, il fruscio delle foglie agitate dal
vento.
Ma ci sono anche rumori cattivi. Sono i
rumori artificiali, provocati da cose che non dovrebbero esistere, come il
rombo dei motori delle auto, lo stridore dei macchinari di una fabbrica, i
suoni inutili e fastidiosi di una televisione accesa, le grida immotivate e
insolenti di bambini viziati e adulti egocentrici…
E ci sono dei momenti nella mia vita in
cui questi rumori non mi permettono di vivere.
Cerco di distrarmi con qualcos’altro ma
mi sembra di impazzire.
Ci sono momenti nella mia vita in cui i
rumori buoni e la solitudine diventano un’esigenza e la loro mancanza mi
provoca quasi del dolore fisico.
E così decido di andarmene. Le montagne
purtroppo sono troppo lontane dal luogo in cui vivo, ma c’è un posto che posso
facilmente raggiungere in bicicletta. Lo chiamo il mio posto segreto. Non è
proprio segreto, ma è abbastanza isolato e poco frequentato.
È come un ponte ad arco di mattoni,
largo meno di un metro, senza protezioni, il cui lato sinistro dà su un canale
per l’irrigazione largo e non molto profondo e il lato destro si affaccia su un
ruscello immerso nella vegetazione circa tre metri più in basso che sparisce al
suo interno. È un luogo riparato da alte acacie e querce e attorno è circondato
da vasti campi coltivati e solo una piccola strada sterrata che costeggia il
torrente immettendosi in una strada asfaltata di campagna stretta e sconnessa.
Io mi siedo sempre al centro del ponte
con le gambe a penzoloni nel vuoto rivolto verso il torrente. Ogni tanto mi
sdraio e sto bene. Il rumore dell’acqua mi rilassa e mi sento protetto
all’ombra dei rami. Il punto in cui mi sdraio di solito mi permette di vedere
una porzione di cielo e spesso mi sorprendo nel constatare che lì il cielo
sembra avere un colore più intenso e luminoso che da qualsiasi altra parte.
Oggi cerco quella pace.
Vengo qui con la mia solita bicicletta
gustandomi sul viso l’aria ancora tiepida di metà settembre e non pensando a
niente per il momento, anche se provo una sorta di ansia dentro di me.
E purtroppo, come mi accade spesso, i
miei timori sono fondati.
Sale dentro di me una sorta di astio
ribollente, una rabbia infondata ma travolgente, sento il desiderio di urlare e
pestare i piedi, come quando da piccolo c’era qualcosa che non mi piaceva.
Ma non faccio nulla di tutto questo e mi
limito a rimanere in piedi più immobile di una statua, sorreggendo la mia bici
con entrambe le mani sul manubrio, squadrando con sguardo omicida il vecchio
che cammina sul mio ponte con due cani da caccia al seguito.
Cammina beato, sicuro di sé, ha una
lunga barba completamente bianca e un paio di stivali di gomma. I suoi cani
ruzzano tutt’intorno ma non si curano minimamente di me, che non mi sono mosso
né ho distolto lo sguardo dall’uomo.
È lui il mio problema, lui e tutti gli
altri, tutti i produttori di rumori cattivi sono il mio problema. Vorrei che se
ne andasse, che si muovesse dal mio posto, che sparisse semplicemente.
Ora cammina sul rivone che costeggia il
canale, ma io continuo a non muovermi. Lui mi ha notato e ogni tanto mi fissa.
Spero di averlo messo a disagio. Appena lo reputo abbastanza lontano metto giù
il cavalletto della bicicletta e mi arrampico sul rivone. Scavalco un pezzo di
recinzione di legno marcio e finalmente sono nel mio posto.
Respiro forte come se fossi entrato in
un’altra dimensione e mi guardo intorno estasiato. Mi sdraio al centro e chiudo
gli occhi assaporando i rumori buoni che sento intorno a me.
Apro gli occhi e il cielo mi sorride
incorniciato dalle foglie ovali delle acacie. È di un colore incantevole, così
bello come non lo vedevo da mesi.
Dopo un po’ mi metto a sedere e noto che
davanti a me si è posata una farfalla. Le sue ali sono rivolte esattamente nella
mia direzione così posso vederle nella loro interezza. Sono grandi e
bellissime, colorate di marrone scuro e decorate da una grande linea rossa che
si congiunge al centro e piccoli puntini bianchi.
Io la osservo e lei non si muove. È come
se facesse apposta a rimane re lì ferma per farsi ammirare da me. Mi muovo
leggermente e lei vola via. La guardo finché non la perdo di vista e ancora mi
sdraio soddisfatto di quello che ho visto. Ma ancora quando mi rimetto a sedere
lei è lì con le ali spiegate, che apre e chiude come se mi stesse chiamando.
Ora è anche più vicina di prima e riesco a osservarla ancora meglio. Mi sento
incredibilmente orgoglioso di essere stato scelto per ammirare quella
meraviglia e non le stacco gli occhi di dosso finché non si stanca di essere
adulata e mi lascia come un’amante crudele.
È bello stare qui. Mi sento connesso con
la vita, con il mondo. È come se ci fosse qualcosa di diverso in questo luogo,
qualcosa di non ancora del tutto contaminato.
Sorrido e guardo dove prima c’era la
farfalla. Al suo posto ora sta appostata una lucertola verde. È immobile e mi
fissa. Vedo chiaramente il suo ventre alzarsi e abbassarsi per il respiro
concitato. È in allerta. Io rimango immobile e la guardo a mia volta. Passa del
tempo, poi finalmente lei si muove. In uno scatto è già a metà strada tra dove
era prima e dove sono io. Non mi stacca gli occhi di dosso, sembra che mi stia
studiando. Si avvicina ancora e poi ancora un altro po’, fino ad essermi a
pochi centimetri dalle scarpe. Io non mi sono mosso. Quando sta quasi per
toccarmi rovescia la testa e mi guarda da capo a piedi, poi, come se fosse
soddisfatta, si volta e sparisce in un lampo.
Cos’è appena successo? Una lucertola era
curiosa di scoprire cosa fossi? Chissà, magari non aveva mai visto un essere
umano nella sua vita. Magari voleva solo passare per attraversare il ponte. Ma
forse era proprio la curiosità che
l’ha spinta a fare una cosa così potenzialmente pericolosa. Perché sono così
sorpreso? Dopotutto mica solo gli umani possono provare emozioni come la
curiosità.
Mi sento dentro una sensazione di
felicità indescrivibile. Sento come se avessi appena assistito a qualcosa di
straordinario, di unico. Ho ancora l’immagine nella mente dei suoi occhi così
incredibilmente intelligenti e vispi incollati nei miei. Cosa avrà pensato di
me? Cosa avrà appreso di questo essere così grosso e rozzo e dai colori così
strani?
Vorrei che tornasse, vorrei stabilire un
altro legame con lei. Ma non tornerà, me lo sento. Le cose più belle sono
destinate a durare un battito di ciglia.
Sto ancora osservando il punto in cui è
scomparsa la piccola creatura quando sento un rumore cattivo provenire dalla
stradina davanti a me. È un’auto che si sta dirigendo nella mia direzione.
Spero con tutto il cuore che passi senza notarmi, ma le mie speranze vanno
completamente in frantumi quando questa si ferma e ne scende una donna. È la
stessa donna che avevo notato prima fare quella stessa strada correndo. Spero
ancora più ardentemente che non sia scesa per me ma ancora una volta rimango
deluso.
La fisso mentre mi viene incontro, lei
con un sorriso cordiale e io con uno sguardo diffidente e quasi intimidatorio.
Mi avvolgo le gambe con le braccia in un gesto di difesa mentre inizia a
camminare sul ponte.
«Ti disturbo?»
Certo che mi disturbi, non si vede? Per
un attimo penso che voglia solo passare quindi mi scosto un po’, ma lei si
siede e sospiro mentalmente.
«No, no»
Le rispondo, ma dentro di me sto
urlando.
«Ti ho visto prima qui tutto solo e ho
pensato che stessi male.»
«Sto bene»
Voglio che se ne vada. Voglio evitare
ogni genere di conversazione. Voglio rimanere solo. Perché non lo capisce?
Distolgo lo sguardo e mi giro dall’altra parte.
«Ah, piacere, io sono Laura.»
Mi tende la mano. Esito un attimo e poi
gliela stringo bofonchiando il mio nome.
«È un bel posto questo. Anche a me piace
molto la natura»
Non dico niente. Non la guardo nemmeno.
Vattene via.
«Sai, io sono un’assistente sociale.
Lavoro spesso anche con i ragazzi. Ti do il mio numero così se vuoi possiamo
parlare un po’»
La guardo basito. Lei mi sorride. Mi
viene quasi da ridere. Cara assistente sociale, saresti dovuta venire da me
qualche anno fa, forse allora mi avresti potuto aiutare, ma adesso che ho fatto
tutto da solo non hai più motivo di esistere nella mia vita.
Mi scappa un sorriso sarcastico e guardo
il ruscello che scorre indifferente sotto di me.
«Cos’è, hai paura che mi butti di
sotto?»
Lei perde il sorriso e non dice niente.
«Ci ho pensato qualche volta, a buttarmi
di sotto. Non è molto alto, non penso che riuscirei a morire. Forse se mi
lasciassi cadere di testa… Ma, in effetti, questo non è proprio il posto più
adatto al suicidio, sarebbe meglio quel ponte grande sul fiume. Ok, ho capito,
sarà meglio che vada là allora.»
Mi alzo e faccio finta di andarmene.
Voglio prendermi gioco di lei.
«No!»
Urla, ma non si alza e guarda giù.
«Vertigini? Eh, è un bel problema. Ma
forse le vertigini sono l’unica cosa di cui non soffro…»
La guardo negli occhi e vedo il terrore
dentro di essi. È divertente. Faccio una piccola risata e poi mi siedo di
nuovo.
«Stavo scherzando, volevo vedere la tua
reazione.»
Lei si porta una mano al petto e sospira
di sollievo, poi si mette a farmi una ramanzina infinita di cui non ascolto una
singola parola.
Infine acconsento a prendere il suo
numero a patto che lei se ne vada e appena è risalita in macchina – che
tralaltro è guidata dal vecchio di prima – lo cancello senza pensarci due volte.
La sua presenza ha rovinato l’atmosfera
che si era creata e ha portato qui anche delle grosse zanzare tigre di cui ero
riuscito a liberarmi. Penso con rammarico alla farfalla e alla lucertola che,
spaventate da tutto quel rumore, non sarebbero forse più tornate. Mi sento
infastidito, ma in un certo senso anche grato, almeno la gente si preoccupa
ancora degli altri al giorno d’oggi.
Mi alzo e mi sgranchisco le gambe. Poi
mi metto in piedi sull’orlo del ponte dalla parte del ruscello, con le punte
delle scarpe appena sporgenti, e mi piego per vedere meglio cosa c’è sotto. Non
c’è molta acqua e si distingono chiaramente i sassi che compongono il letto e
una piccola pavimentazione di mattoni che sparisce sotto al ponte. Forse da qui
potrei davvero morire. Basterebba fare un tiffo di testa, come in piscina.
Sarebbe così facile… Se io cadessi adesso e morissi probabilmente andrei su
qualche giornale e la tizia di prima lo verrebbe a sapere e anche il vecchio.
Probabilmente avrebbero i rimorsi per tutta la vita di non essere stati in
grado di aiutarmi. Sarebbe una punizione esemplare per chi infrange le regole
del silenzio. Sorrido un poco pensando alla loro faccia mentre leggono
l’articolo sul giornale, poi mi raddrizzo.
Cammino fino a raggiungere la discesa
piena di vegetazione che porta giù nel ruscello. C’è un camminamento visibile e
lo percorro fino all’acqua. Con l’aiuto delle mani mi calo giù nel letto e
riesco a passare su un muretto che non è stato lambito dall’acqua. Con questo
muretto non riesco a entrare nell’arco, ma almeno posso guardarci dentro. Anche
se è una costruzione umana lo trovo comunque bellissimo. La penombra e la
vegetazione aldilà lo fa sembrare come un portale per un altro mondo. Se non ci
fosse l’acqua ci andrei dentro, ma comunque dovrei fermarmi all’uscita perché
c’è un discreto salto che dà su un laghetto profondo. La sensazione di antico
che emana quella costruzione mi fa sentire a mio agio e ancora di più la
vegetazione che l’ha colonizzato.
Poi scorgo con la coda dell’occhio un
movimento sulla parete di fianco a me. Inizialmente penso si tratti di capelli
o peli che si muovono al vento, perché è proprio questo che sembrano. Ma no,
non sono capelli. Sono una moltitudine
di ragni ammassati e aggrovigliati insieme che si muovono probabilmente a causa
della mia presenza. È quel genere di ragni di campagna con il corpo ovale
piccolo e le zampe lunghe e sottili.
È uno spettacolo senza paragoni.
Guardando anche sulle altre parti dell’arco noto altri assembramenti di ragni,
alcuni in movimento e altri no. Che staranno facendo? Perché lo staranno
facendo? Rimango incantato a osservare quella colonia di piccole vite dimenarsi
e contorcersi gli uni sopra gli altri, pensando a quanto sia incredibile la
natura che per ogni essere ha creato il suo preciso e unico modo di
approcciarsi col mondo e con gli altri esseri viventi. Molte persone hanno
paura o provano disgusto per i ragni, ma io ora non posso provare altro che
fascino.
Me ne vado per lasciarli in pace e risalgo
la riva. Decido che è ora di andare, anche per evitare un altro sgradito
incontro con le persone di prima, casomai decidessero di
ritornare.
Mentre attraverso il ponte con ancora
l’immagine dei ragni nella mia testa, sul pezzo di recinzione che divide il
ponte dal rivone si posa la farfalla di prima. La guardo incantato e
completamente incapace di muovermi. È come se volesse farsi ammirare un’ultima
volta o forse mi vuole implorare di non andarmene. Mi sento gli occhi umidi e
un senso di calore nel cuore che forse non avevo mai provato nella mia vita.
Poi lei vola via e mi lascia lì con le lacrime negli occhi, pronta a non
rivedermi mai più.
Mi giro un’ultima volta e urlo «Grazie!»
verso gli alberi e il ruscello. Mai nella mia vita potrò dimenticare quello che
mi è successo oggi, quelle piccole vite diverse che ho incontrato, ognuna così
differente dall’altra, ma ognuna non meno degna di vivere su questa terra.
Ora sto meglio. Ho soddisfatto quella
voglia di rumori buoni che mi aveva fatto tanto soffrire prima e il mio cuore è
più leggero.
Prendo la mia bicicletta e mi avvio
verso casa.
Storia realmente accaduta.
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