di TORELLI ANDREA
La luce rischiarò di un color zafferano il cielo ancora
coperto da un manto vermiglio di fuoco. I raggi furono rifratti da foglie
disposte in maniera così fissa da apparire come un gineceo di domenica mattina.
Esse , cadendo poi dall’albero penetrarono nel cadavere di un piccolo gatto che
ruminava giustizia. Nell’abitacolo stanziato a destra di questa macabra scena ,
posto tra un’ellissi di cespugli verdeggianti vi era un altare dai toni avorio
che risplendeva di un chiarore luminescente. Aveva una struttura ottagonale ,
sorretta da colonne in stile dorico , ricordava un po’ la pianta dei ballatoi
rinascimentali. La sua estrema iperbolicità all’interno del cimitero civico di
Phoenix lo faceva sembrare quasi divino , il bianco in contrasto col nero , la
purezza in relazione alla morte , facevano si che richiamasse un ossimoro
visivo fortissimo. Grayson Lincow era appollaiato sui suoi arti inferiori
stretti in un paio di eleganti pantaloni gessati in accostamento con la giacca
e la camicia , aveva un fisicità magra e slanciata , i suoi occhi chiari erano
tersi da una sottile lamina lacrimogena dovuta alla vista delle lapidi del
padre e della sorella , che , puntualmente , dopo qualche mese di servizio , veniva a riguardare. Riportavano sempre la
medesima incisione , “in memoria di
Christopher e Dana Lincow”. Oltre al riguardo che portava questa sua azione
era grande la speranza per cui un giorno sarebbero potuti tornati , dal nulla ,
senza alcuna ragione consona alla realtà. Forse una trama del genere sarebbe
stata scandagliata da quel genere di film che probabilmente era solita guardare
la nuova amica del fratello. Egoisticamente Grayson sperava che quella ragazza
, di cui momentaneamente non ricordava il nome , uscisse con suo fratello nella
speranza di vedere lui , un giorno. Non aveva mai avuto quel rapporto con suo
fratello , erano sempre stati una famiglia senza scossoni ne drammi ,
disdegnata da tutti quei canoni televisivi per cui la famiglia vinceva sempre ,
alla fine. In questo caso però la vittoria non fu scontata , anzi , finì in una
tragedia. Ripensando a quelle scene Grayson rabbrividì , non avrebbe mai potuto
raccontare a nessuno cosa realmente successe , nemmeno agli altri famigliari.
Probabilmente era sbagliato suggellarle come X-Files , non tanto per il suo dovere morale , ma bensì per
difendere una verità scomoda a molti. –Ero sicuro di trovarti qui- esordì una
voce roca e poco amichevole proveniente
dal vialetto scosceso che si apriva a livello delle siepi , Grayson si levò in
posizione eretta , rimaneggiando le sottili pieghe formatesi nell’abito
gessato. –Se non starai attento , quel gatto sarà lo specchio della tua
famiglia- continuò nuovamente , dall’ombra dei cipressi che circondavano a loro
volte i biancospini , uscì un uomo , anch’egli ben vestito e dal portamento
autorevole e sicuro , aveva un aspetto grifagno e una sottile linea di pancia
arrotondava intozziva il girovita. –Il tuo non parlarmi Grayson non ti fa per
niente onore , pensavo fossi un uomo tutto d’un pezzo , vista anche la tua
giovane età- l’uomo si fece ancora strada verso l’altare , gli anfibi bassi
costosissimi si impregnarono di un leggero sedimento portato da fili d’erba che
venivano sfilacciati durante l’atto stesso del camminare , quando arrivò alla
scalinata in marmo della cupola , il colore di quegli stivali era già più
grigiastro , come quello di una maglia nera dopo tanti lavaggi. Il suo avanzare
riguardoso faceva si che le suole si assottigliassero ad ogni passo e le sottili
pieghe che si formarono a livello della punta ricordavano le scanalature
nerastre del marmo che si univano in un disegno quasi simbolico. In cima ,
l’uomo si strinse nel suo lungo cappotto color cammello con lo scollo anni
settanta , fissò incuriosito Grayson che , senza muovere un muscolo , sporse
appena il capo dalla sua visuale , -Pensi forse che io non sappia nulla del PPC
, William?- , quest’ultimo rise ritemprando il suono , come se non volesse
trasformare quell’ambiente da sacro a profano , -Non giocare al piccolo Mulder
con me , Grayson , è un ruolo che non interpreterai mai bene-. Con quelle
parole William sventò tutta la sorpresa di Grayson , il quale , appresso da una
folle ira che si spandeva dalle venature capillari arrossate nei suoi occhi
fino ai polsi che tremavano al solo pensare a tutto quello che l’emittente
sapeva , ma non voleva dire , appoggiò scompostamente il palmo ad una delle
colonnine , facendo tremare l’intera architrave , -“Caina attente chi a vita ci
spense” ricordatelo sempre , Grayson-.
GIORNO PRIMO , ECCO
LA MIA STORIA…
Mi svegliai di soprassalto quella mattina , come in quei
libri che consideravo troppo infantili per essere letti. La scena era la stessa
, avevo appena avuto un incubo. Uno di quelli spaventosi , che ti pervadeva
l’anima. Vidi solo una bara nella mia mente , aveva un simbolo araldico nella
parte anteriore e nel mezzo , dove si dividevano i due frammenti che la
costituivano vi era appoggiata una delicata coperta di pizzo bianca. Quando mi
guardai allo specchio quella mattina e sentii la freschezza delle gocce che
scorrevano sugli zigomi pronunciati del mio viso e mi illuminavano gli occhi
verdi mi ripetei mentalmente che ero io. Non potevo essere qualcun altro ,
proprio come nel mio incubo. Vestitomi decisi di non raccontare nulla alla mia
famiglia , sempre se avere solo una madre significa avere una famiglia. Mariol
, era fissata con i sogni e teneva regolarmente un diario dove annotava tutto
ciò che vedeva nel sonno , confrontando poi quelle visioni con quello che
riportava il libro dei sogni. Non mancava mai un’edizione e se non facevo
attenzione a stentare il discorso al minimo lei irrimediabilmente finiva su
quel discorso. Quando fissai il suo grembiule rosso spento lei guardò me con
ostentato interesse. –I capelli , tesoro- mi disse , arrossendo quasi , non era
solita darmi consigli. Forse perché non le importava più tanto della sua
immagine , sia che fossimo in casa , sia altrove. Dall’altra parte del tavolo
si senti uno scricchiolio di una seggiola che si muoveva dal suo cardine ,
mentre mi perdevo nelle sfumature che il latte assumeva con l’aggiunta del
cacao. A quel punto capii che era arrivata l’ora di andare a scuola. A dire il
vero non ero mai stato come quei bambini di una tipica famiglia inglese. Invece
che protestare per andarvici , avevo abbracciato un atteggiamento atarassico.
Con lo zaino in spalla attraversai il vialetto pestando le foglie con gli
anfibi , il rumore mi ricordava molto i film romantici , come se io potessi mai
camminare in una maniera diversa da tutti i ragazzi mediamente alti e
altrettanto mediamente dinoccolati. Non mi sentivo diverso da tutti gli altri.
Non avevo mai deciso di innalzare i miei ideali anche se , adorando le poesie
di Edna Millay , avrei dovuto ascoltarla. A volte sentivo che alcuni suoi versi
non mi toccassero minimamente e mi immaginavo quella poveretta che da chissà
dove mi lanciava qualche ineccepibile imprecazione. La mia scuola era a qualche
miglio di distanza da casa , come se Phoenix fosse ruota per criceti , io avevo
memorizzato solo qualche retrovia della mia città senza mai visitarla per
intero e senza concentrarmi sull’aspetto più formale dei vari luoghi.
Personalmente odiavo l’idea di ignorare tutto ciò perché era triste pensare che
avrei potuto espandere le mie barriere con facilità. –Christian- chiamò una
voce melensa alle mie spalle , -Non ti darò la soddisfazione di chiamarti
Anastasia - risposi in maniera altrettanto teatrale , Delilah Lancesters
comparve avanti a me guardandomi con il suo sguardo da cerbiatto , i suoi occhi
risplendevano di un azzurro intenso , come se volesse dirmi qualcosa , affondò
il suo braccio nell’incavo del mio , come se fossimo più intimi di quello che
avremmo dovuto. –Secondo me devi smetterla con quei romanzi erotici e passare a
qualche sano e intramontabile classico- le suggerii , lei mi guardò storta come
se fossi stralunato e come se un ciclo di romanzi come quello rappresentasse un
caso letterario che sarebbe durato per secoli. –Sai cosa mi piace di te
Christian Lincow?- cinguettò poi Delilah, guardandomi fisso negli occhi senza
sembrare negligente nel guardare avanti a se , -Illuminami- , la incalzai io ,
-Il fatto che tu non abbia bisogno di false speranze per ammettere la tua
normalità. Cioè , voglio dire , tutti leggono classici e spesso non lo danno a
vedere o se proprio devono per impegno scolastico non fanno notare a nessuno
che gli son piaciuti , come se io adesso abbracciassi la filosofia di Nabokov e
diventassi una specie di escort per uomini più grandi , cioè te invece non hai
problemi ad ammetterlo-. –Sono solo realista , dopotutto il mondo è ciò che è
grazie a grandi persone che hanno contribuito a crearlo , in modi diversi
ovviamente- dissi in tutta risposta , lei sorrise con le labbra mostrandomi un
paio di deliziose fossette arcuate e sventolando una ciucca di capelli biondi
sul mio naso , -Vedi tesorino mio , tutte quelle persone che hanno contribuito
a formare tua realisticità erano fuori dagli schemi. Non avevano limiti fisici
ne immaginari , erano spiriti liberi..- , esortì poi , -Delilah, hai assunto
per caso qualche sostanza allucinogena che finirà con il nuocere qualcuna delle
tue funzioni cognitive?- lei si fermò battendo i tacchi sul pavimento e
sventolando appena le rughe della gonna a ruota del suo vestito blu elettrico.
–Se mi lasciassi finire una buona volta…per questo motivo ti sto esortando a
partecipare a una festa! Questa sera!- io la fissai con gli occhi sbarrati ,
esattamente come lei aveva fatto con me qualche istante prima , -È un party
leggero. Si terrà nella in una sala da ballo nella zona a sud della mia casa ,
sai quel casolare che si vede dalla finestra della mia camera?- . non avrei mai
pensato di sfiorare una discoteca in vita mia , nemmeno avvicinarmici era stata
un’idea che mi era frullata nella testa , ma sicuramente Delilah aveva già
pensato a tutto , proprio come mi annunciò poco dopo. Non avevo mai stilato una
lista di cose da non fare in quella situazione , cioè era una cosa abitudinaria
per me comportarmi degnamente e come Dio comanda in ogni situazione. Presi con
il proseguire ma Delilah mi cinse il braccio e mi sorrise mostrando nuovamente
le fossette , -Matematica , il tuo corso della prima ora , meno male che so
anche il tuo orario a memoria. Ah e a proposito non pensare che io non abbia
visto che hai notato il mio vestito nuovo Kate Spade! Ci vediamo a pranzo
Christian.-. Detto ciò sgambettò via verso l’aula di teatro , sapevo che si era
già immedesimata nel personaggio ma certamente ignoravo quanto lei ci tenesse davvero
al dettaglio del vestito. Quando entrai nell’aula di matematica i posti erano
già tutti occupati , la seconda fila sembrava quasi vuota con l’arretrare degli
ultimi banchi , ma a una prima occhiata non notai nessuna sedia libera. Non
avevo mai sopportato quel specie di rituale scolastico , dopotutto un posto
valeva l’altro , sempre se non si avevano amici , come nel mio caso. Solo
Delilah era stata gentile con me dal mio arrivo pochi mesi prima. Era stata
l’unica a colorare la monotonia delle mie giornate passate in giardino a
leggere , come se fosse stato un sole e io una nuvola di . Già che in quella
città il sole era ubiquitario , poi si aggiungeva il fatto che io fossi bianco
come il latte e certamente i miei capelli chiari non aiutavano a non far pensare
che avessi trascorso le mie ultime vacanze confinato in casa. Ovviamente quella
esperienza nuova non fu come me la immaginai , non divenni popolare e nemmeno
adocchiato , ma dopotutto , nulla di ciò che successe nella mia vita io lo
immaginai. Per meglio dire ho sempre ritenuto futile e poco sensato credere nel
destino delle cose , nonostante ore e ore di cartoni animati che affermavano
tutto il contrario. Alla fine però anche tutto ciò che mi circondava non aveva
alcun senso , ero solito farmi domande del genere ‘perché questa cosa avviene
in quel modo?’ , dopotutto la scuola era stata inventata principalmente per
educare la popolazione ma in tempi medievali e rinascimentali , la chiesa non
si fece scrupoli a manipolarla per
mantenere le persone nell’ignoranza. In quel giorno specifico poi tutto era un
asintoto per me , e per qualche motivo volevo sapere cosa il libro dei sogni
avesse in serbo per me. Era una curiosità maliziosa ma allo stesso tempo
trobadorica , perché in tutto ciò risiedeva qualcosa di poetico.
L’interpretazione di un sogno era qualcosa di superiore alle mie aspettative
come se mi turbasse da dentro e mi sentivo quasi imbarazzato e violato sapendo
che qualcuno di esogeno alla mia testa sapeva quello che io in realtà provavo o
desideravo. Alla fine però un mormorio sommesso mi travolse dal mondo di
pensieri vaghi ed estremamente personali in cui navigavo da troppo tempo ,
tutti gli occhi si fermarono su di me come se dovessero raggelarmi dalle
viscere del mio corpo. Probabilmente non ero la persona meglio vestita di tutti
, ma oltre alla mia figura legata alla estrema mancanza di calma , nessuno mi
toglieva gli occhi di dosso e personalmente preferivo vivamente rimanere
nell’ombra piuttosto che esposto alla gogna pubblica. Decisi comunque di
prendere tutto quello con parsimonia , come se tutti quelli che mi circondavano
fossero estranei al mio mondo o al mio modo di vedere le cose. Anche se
probabilmente era realmente così , scorsi un ragazzo solo e intristito
nell’angolo della prima fila e oltre ad essere nerovestito sentii una
famigliarità con lui. Sembrava solo e abbandonato come un cane smarrito e a
dire il vero , non l’avevo mai notato prima di quel giorno. Non che facessi
caso a tanto oltre ai vestiti di Delilah che mi imploravano praticamente di
chiederle dove gli avesse presi. In ogni caso il posto accanto a lui era
ergonomico e comodo , proprio come qualsiasi altro nella classe , ma il
convincimento che quella postazione fosse stata mia per quell’ora mi faceva
sentire pieno di orgoglio. Forse erano piccolezze , ma io pensavo a tutto
questo continuamente. Forse era sbagliato perché in questo modo mi illudevo e
mi auto contraddivo perché vista la mia attenzione per i dettagli chiunque
avrebbe potuto dire che io speravo che tutto quello accadesse per una ragione ,
come se tutta la mia storia fosse stata già scritta da un altro. Probabilmente
quel ragazzo pensava che io fossi pazzo vedendo il modo in cui evitava di
incrociarmi e senza alcuna cognizione di causa io continuavo a fissarlo
imperterrito. Non vidi nemmeno un pelo di barba , era molto bravo a radersi ,
proprio il contrario di me. Aveva un viso spigoloso e magro , con la mascella
scolpita e zigomi abbastanza bassi e pronunciati. Contai dieci secondi , poi
venti e poi trenta e contai anche che lui serrò la mascella per tre volte
lasciando intravedere l’osso che sporgeva leggermente e arricciava la pelle
verso l’esterno. Quelle tre volte però non furono regolari , cioè non avvennero
ognuna a dieci secondi dall’altra ma bensì più disparate , la prima a sette
secondi da quando avevo iniziato a fissarlo maniacalmente , la seconda dopo
dodici secondi dalla prima interruzione e l’ultima dopo undici secondi. Secondo
il libro dei sogni probabilmente quelli erano tre numeri da giocare a qualche
gioco quella sera o da tenere come portafortuna. Benché io non lo ammisi mai a
me stesso , quel ragazzo mi intrigava , lo vedevo come una sorta di anima
affine a me , come se condividessimo lo stesso cervello ma fossimo intrappolati
in corpi opposti l’uno all’atro. Era strano come sistemava gli angoli di tutti
gli oggetti sul banco , erano messi in posizione a formare una barriera , come
se non volesse che nessuno si avvicinasse a lui. La mia maniacale voglia di
perfezionismo non voleva altro che sistemare tutti quegli oggetti su quella
superficie per sistemarli nel mio personale ordine mentale che mi avrebbe
permesso di esprimermi. Era come una cosa più forte di me , strinsi le dita nel
delicato tessuto della camicia di lino che portavo e mi scaldai le gambe
sfregando sul denim dei jeans , con quelle azioni pensavo di poter attaccare
bottone , probabilmente il mio cervello reagiva in maniera sbagliata. Una parte
di me voleva continuare a essere ignorata , come se stringendo una manica
potessi eludere l’intero mio corpo , ma un’altra parte desiderava enormemente
che quella persona mi parlasse , mi raccontasse dei suoi recessi perché sentivo
nel profondo di essere affine a lui. La stessa sensazione la provavo per tutto
il resto della comitiva , come se qualcosa mi spingesse a comunicare con loro ,
a creare un ponte verso tutti gli altri. Quella scena però cominciava a
divenire patetica : la sua maglia , di un colore diverso dal nero , più
tendente al grigio scuro mi incuriosì perché vedendo il logo Armani immaginai
che l’avesse comprata così , ma invece l’odore pungente di cannella che
sembrava emanare diceva tutt’altro. Come se avesse ottenuto quella tonalità
soltanto dopo molti lavaggi. La verità era che quella innaturale voglia di
conoscenza mi stava uccidendo , mi era bastato vederli perché tutto cominciasse
e la cosa curiosa era che tutto quello successe nel giro di pochi secondi e in
quel breve tempo ero riuscito a formulare migliaia di pensieri e quella
dissertazione mi faceva divenire man mano più piccolo perché ogni mio modo di
attirare la loro attenzione scemava. Era come se fossi rinchiuso in un micro
universo mio personale , che man mano si stava trasformando in un inferno ,
probabilmente però il fuoco scaturiva dalla mia faccia imbarazzata che sentivo
pulsare dal rossore. Tutto quel mondo mi fu velocemente spazzato via dal
professor Hartris che stava facendo il mio nome. Pronunciò il mio cognome con
disprezzo , come se il fatto che non fossi mai stato una cima in matematica
pregiudicasse chi sono nella realtà. Odiavo le scuole che funzionavano in quel
modo , o come le chiamavo io ‘scuole stampino’ , perché dopo tutto nessuno al
suo interno può sapere cosa sarei diventato o cosa sarebbe diventato chiunque.
Per questo motivo non aveva particolare senso schermare il loro atteggiamento
con un discorso sulla vita e sull’impegno personale , perché , dopo tutto ,
annoiavano alcuni di quelle romanzine : non facevano altro che illuminare
delucidazioni sbagliate su stessi. Io infatti dopo il sermone , mi sentivo giù
per qualche ora , mi ripetevo continuamente che non ce l’avrei fatta in nessun
modo a diventare qualcuno , come invece volevo fare. Se in più la critica
proveniva da Hartris , era ancora peggio , quel suo aspetto grifagno lo rendeva
simile al conte Dracula e sicuramente questa analogia non era rassicurante per
alcuno. Mi umettai appena le labbra , sporgendo appena la bocca , in quel modo
forse speravo di farmi intendere , forse era un mio modo di comunicare il mio
totale disinteresse verso la questione , ma il professore rimase impassibile
come al solito. Non sapevo nemmeno io perché mi comportavo così , probabilmente
era stato il sole di Phoenix a cambiarmi in qualche modo. Mamma ad esempio
sembrava più raggiante e benché non avesse ancora riconquistato piena fiducia
in se stessa , aveva almeno ricominciato ad occuparsi del giardino e del
piccolo orticello che aveva deciso di tenere qualche settimana fa. Quasi non mi
accorsi dell’esercizio da risolvere alla lavagna : Hartris aveva un modo molto
strano di insegnare a mio avviso , spiegava prima tutti gli aspetti teorici ,
poi si prendeva tre settimane buone per assegnare esercizi alla lavagna che
ognuno avrebbe dovuto risolvere per conto proprio al posto. Personalmente ho
sempre preferito quegli insegnanti più presenti , che facessero ogni tipologia
di esercizio alla lavagna assegnandolo a un argomento preciso di teoria. Forse
pretendevo un po’ troppo ma avevo intenzioni di laurearmi in lingue e non certo
in matematica o scienze. Dopotutto non riuscivo a concepire tutta
quell’esattezza e quel perfezionismo caotico. La matematica più di ogni altra
cosa si avvicinava alla perfezione , ma allo stesso tempo era indefinita , come
se non volesse essere capita. Invece l’ipercorrettismo e la musicalità che la lingua
ha era una cosa che mi affascinava , adoravo trovare parallelismi tra autori
separati da secoli e trovavo intrigante come certe idee rimanessero radicate
nella coscienza popolare così a lungo. Certamente non ero il ragazzo adatto a
fare certe considerazioni , ma spesso tenevo tutto per me , come se la mia
mente fosse un carcere per le mie idee più recondite. C’era qualcosa in quegli
sguardi , in quegli occhi vacui e ipertrofici che mi facevano sentire osservato
nel profondo , come se sapessero tutto loro. Anche se non mi stavano guardando
sentivo la loro presenza su me come se anche la minima cellula del loro si
posasse orizzontalmente su me , assopendomi. Come era ovvio che fosse
l’esercizio non mi risultò come da manuale , dopo tutto i risultati che vi
erano riportati erano solo numeri , cifre messe li per compiere un lungo
cammino verso la risoluzione di un problema. Tanti dicono che tutte le strade
portano a Roma , ma purtroppo nelle materie scientifiche puoi imboccare
qualunque strada tu voglia ma alla fine sarai sempre in rotta di collisione con
lo stesso punto di arrivo. Da un certo punto vista infatti era quello il limite
che non riusciva a spingermi verso di esse , io adoravo quando le strade erano
molteplici e altrettanti erano i modi di assoggettare quella cosa a te stesso.
Era quello il limite che non riuscivo a oltrepassare , ho sempre detestato
essere uno mediocre , uno che segue i gusti altrui e certamente non avrei
scelto nessun compromesso. Come se fosse una questione di chimismo tra me e
quello che non sarò mai , lui voleva conoscermi , ma io non avevo alcuna
intenzione di famigliarizzarci. –Quando hai due radici e fai il doppio prodotto
tra l’una e l’altra , ti verrà sempre fuori un terzo radicale e di conseguenza
devi aggiornare le condizioni di esistenza dell’equazione ; dopo ti risulterà-
d’un tratto mi sentii piccolo come una rosa , i quel belligerante momento di
non coesione mentale lui mi aveva parlato , mentre io mi disperdevo nel
raffazzonante desiderio di capire anche solo per un attimo la matematica lui mi
aveva dato un consiglio che si sarebbe rivelato vincente. Non risposi subito al
consiglio ma comincia a pianificare qualcosa nella mia testa , come se quello
fosse l’introduzione di qualcosa che sarebbe successo , non era nulla di
naturale tutto ciò. Vidi le stesse bare nella mia mente , quelle con il simbolo
araldico nella parte anteriore e la coperta di pizzo bianca nel centro. Non
capii subito cosa fosse quella visione agghiacciante perché erano le stesse
immagini che avevo visto in sogno , prima che dentro una di quelle ci finissi
io. Cercai di distogliere quella terribile immagine dalla mia mente ma
sicuramente non ci sarei riuscito se non mi fossi concentrato sulla sua voce
così fluente e languida , senza clissettaure ne frattaglie nel linguaggio.
Sembrava avere un tono fisso e poco marcato , come se non fosse molto eloquente
e sicuramente assomigliava più a quella società elitaria che si trovava fuori
dal mondo di qualsiasi adolescente piuttosto che al mondo reciso da quattro
mura di pietra che veniva definita scuola. -Qualcuno è riuscito a finire
l’esercizio?- disse poi Hartris distraendomi da tutti e soprattutto dai miei
inquietanti sogni , io abbassai la testa in maniera arrabattata , come se non
volessi essere guardato , lui allungò il foglio al professore che si avvinò man
mano aumentato lo scalpitio delle scarpe eleganti che portava –Mi aspetto molto
da te Lucien Templeton , tienilo bene a mente- riferì poi Hatris dopo aver
visto il foglio di Lucien. Quindi tre cose avevo imparato in quell’ora : la
matematica ha un limite che non conosce nemmeno lei stessa , il mio estremo e
maniacale depauperamento affettivo che stavo avendo verso le persone era
prettamente inquietante e soprattutto dovevo smettere di vedere dei film con
Delilah. Infatti come primo impatto emotivo pensai che tutto quello fosse
riconducibile a quelle sitcom senza alcuna cadenza culturale , ma forse ero io
quello sbagliato , da piccolo mi avevano sempre invitato a giocare ma io non ho
mai voluto , mi sono sempre isolato da tutti leggendo romanzi fin dall’età
infantile , mi ero trasferito a Phoenix da pochi mesi e avevo solo Delilah come
amica , forse un amico in più mi avrebbe certamente giovato , anche se , sapevo
di dover apprezzare la mia vita per come era. Sorridevo sempre quando pensavo a
quelle cose : come sarebbe andata la mia giornata , a come avrei arredato la
mia camera quando sarei andato a stare in una casa per mio conto e persino
quando mi ripetevo che andava tutto bene. A volte ripensavo a quando mio padre
mi rimboccava le coperte e mi diceva che non c’era nulla di male nel non saper
giocare a calcio o nel non desiderare nulla fuorché stare solo ; anche quelli
erano momenti felici per me perché non mi sentivo confuso su nulla , come se la
coltre di nebbia che aleggiava su di me in quegli ultimi anni non ci fosse
dovuta essere. Mio padre era sempre stato fantastico con me , accettava ogni
mio comportamento e ogni mia sconsiderata voglia. Spesso finiva per
assecondarmi in tante cose come nella lettura che mi aveva sempre tenuto
compagni anche nei momenti peggiori. Infatti ogni volta che gli facevo fare un
investimento lui mi fissava con una faccia contorta , piegando leggermente
l’angolo sinistro della bocca , per poi rendersi conto infine che erano sempre
stati soldi ben spesi. Mentre sguazzavo tra quelle frattaglie di memoria la
campanella mi distolse da tutte le immagini felici che oramai erano un ricordo.
Non passava giorno in cui io decidessi di inabissare nei trafori della mia
memoria tutti quei ricordi perché oltre ad affrontare la vita senza alcun
desiderio di spiccare tra tutti , l’unica ancora che mi legava ora come ora al
mondo nel quale mi trovavo era la voglia di scoprire che qualcuno era
esattamente lo specchio riflesso di me.
GIORNO SECONDO
Non mi stancavo mai di sentire il rumore della campana
scolastica , il suo tintinnio assordante era una dolce melodie che riempiva di
speranza il barlume inabissato di sentimenti che cercavo di nascondere. Pensavo
sempre di fare un bel lavoro lenendo tutto , ma probabilmente Delilah
cominciava a sospettare di me e si sarebbe aspettata delle delucidazione da mio
canto. Forse era per lei un gioco tutto quello , lei aveva sempre affermato che
io fossi stato l’unico in tutti quegli anni a colpirla veramente , ma da un
certo punto di vista , mollare tutti i propri amici per stare vicino a uno
soltanto era un pensiero un po’ individualista da parte sua. Il vero pregio di
Delilah però era sempre stato quello di prendere la vita con freddezza e
superficialità , a lei non importava veramente di tutta quella gente però ero
sicuro che lei non mi avrebbe mai lasciato , me lo aveva dimostrato tante volte
anche nelle piccolezze. Prima lei non ha mai sostenuto nessuno in nulla ,
l’importante era sempre stata solo se stessa e nessun’altra ma con me lei era
cambiata : si preoccupava delle mie puntualità alle lezioni , mi sistemava i
capelli la mattina , mi manteneva lontano dalle tentazioni sbagliate come le
barrette caloriche o cose del genere ma soprattutto c’era sempre stata , fin
dalla genesi del mio arrivo a Phoenix. La mattina del mio arrivo mi suonò , mi
portò un cesto con tre diverse tipologia di biscotti , salutò mia mamma dandole
un piccolo consiglio di stile e con i suoi occhi furbi e scrutatori mi portò a
guardare la città. Stretta nel suo abito stile impero vermiglio mi mostrò il
quartiere , facendomi visitare tutti i parchi più famosi e su una panchina mi
disse tutto quello che c’era da sapere su di lei , come il fatto che adorava la
moda , il suo attore preferito era Leonardo Di Caprio e che adorava i romanzi
erotici. Ricordavo inoltre che la sua marca preferita di scarpe era Marc
Jacobs. Oltre a tutti i fronzoli che costituivano l’allegria di Delilah c’era
anche la sua controparte molto meno sarcastica e molto più manipolatrice. il
giorno dopo infatti arrivato a scuola mi venne subito incontro aspettandomi
nella vicino al cancello principale della scuola , il suo gruppo la chiamò da lontano ma lei
sorrise mostrando le fossette e prendendomi a braccetto , quando passami vicino
a quelle tre ragazze lei sventolò i capelli e le guardò di tralice , come se
lei si sentisse elitaria rispetto a loro. Il resto della storia però non me lo
feci raccontare , ma sapevo per certo che lei le mollò il giorno stesso senza fornirmi
alcuna spiegazione. La sera stessa infatti bussò alla mia porta , con addosso
un vestito bianco platino dalle spalline rade e un film stretto nel grembo.
Quando le chiesi del perché mi avesse scelto lei non mi fornì alcuna
giustificazione valida –Mi incuriosisci Christian , accontentati di questo e
per quanto riguarda loro , sono storia antica- cinguettò , passandosi poi il
mio braccio attorno al collo e distendendo le sue gambe sulle mie. Forse la mia
maniacale voglia di controllo mi stava dicendo di fare un passo indietro con
Delilah, ma dopotutto oltre a mia madre e lei era la cosa più vicina a una
famiglia che avessi e non avevo
intenzione di pregiudicare tutto quello in nessun modo. –Ciao
Washington- disse tirando indietro la sedia e accavallando le gambe , -Guarda
che i tuoi nomignoli non sono divertenti quanto credi- risposi arrossendo
appena , mi sembrava che lei desiderasse essere contrariata da me a volte , per
poi formulare un soprannome ancora più ironico –Ehi Mr. A diciassette anni non
sono ancora andato a una festa , non è colpa mia se sei pallido come un cencio
e nello stato di Washington c’è il solo tre volte l’anno , preferisci bianco
come il latte e rosso come il sangue?- sollevò leggermente l’arcata
sopraccigliare per permettere a se stessa di esporre la dentatura bianca e
agitandosi appena una ciocca chiara si portò una mano alla bocca commuovendosi
della sua stessa ilarità. –Non esattamente- le ribattei , come a voler
enfatizzare il su riso lei si portò dalla parte opposta del tavolo proprio a
fianco a me e mi baciò teneramente la guancia –Allora Washington è perfetto- mi
ammonì infine passando il suo delicato dito sul mio mento. Sentii lo sfrigolare
della sua manicure ben curata sul leggero accenno di barba che avevo per la
sbadata rasatura mattutina e lei captando quasi il mio pensiero sorrise
mostrandomi quelle adorabili fossette da scoiattolo. Non avevo mai visto o comunque provato a
interpretare la vera Delilah, cioè , per meglio dire non mi ero mai preoccupato
di chiedermi chi fosse realmente per me. Etimologicamente la conoscevo :
Delilah Lanchester , diciassette anni , un metro e sessantacinque di pura
armonia contro dieci miei centimetri di dinoccolata incapacità motoria in più.
–Come è andata la lezione di teatro?- in quel momento lei mi guardò con i suoi
occhi leggermente passivi per via della palpebra leggermente ribassata e nello
specchio naturale che formarono vidi la foglia di insalata che pian piano si
spandeva nella mia bocca. –Guarda , lasciamo stare , la signorina Sparks mi ha
detto che faccio le cose troppo perniciosamente…- Delilah continuò a parlare ,
senza fermarsi un attimo , non avevo mai pensato che ci fosse qualcuno con più
pensieri da esprimere che Lev Tolstoj , ma probabilmente quella è la metafora
più icastica della vita , prendere quello che ti vien proposto con cautela ,
considerando che non ci possono essere limiti all’immaginabile. Quelle parole
infatti , la maggior parte delle volte non erano intrise di significati
profondi o speculativi , ma bensì di sentimenti che una ragazza come Delilah
esprime in maniera ben diversa da chiunque. Personalmente infatti , ho sempre
cercato di decriptarla , come se fosse una cassaforte piena di tesori non
ancora scoperti , perché infine Delilah
era proprio quello , una fabbrica umana di pensieri socio filosofici che
venivano esplicati tramite parole molto semplici e ben scandite. La maggior
parte , ritenevo che parlasse semplicemente per impeto o per sfogo , ma poi mi
ero reso conto di quanto in realtà cercasse qualcuno che la ascoltasse e che
vedesse in lei quello che lei stessa vedeva in loro. In quel momento infatti
capii che tutti i miei sospetti su Delilah e sul suo attaccamento erano
infondati , lei infatti desiderava la stessa cosa che desideravo io da mesi ,
ma che non avevo mai avuto l’arguzia di scoprire. Lei era la persona che si
affinava perfettamente a me. Quella che completava il cerchio. -..Quindi
ritieniti fortunato di conoscermi Washington , perché un giorno io cambierò il
mondo! Glielo ‘do io il perniciosamente!- Delilah finì poi così la sua
dissertazione , senza far mancare parole scurrili scandite con una cadenza
quasi esotica. In un certo senso ammiravo la sua spontaneità nel farsi notare e
nell’appellarsi alla calma quando invece era richiesta. Nella sua estrema
vivacità poteva anche essere una persona controllata e con dei principi ,
formava una specie di ossimoro vivente. Era una delle sue migliori qualità , a
mio avviso , lo stupore che suscitava a livello psicologico infatti era quasi
un fattore da studiare. –Christian , devo sapere l’età dei puritani entro
cinque minuti!- sbottò poi dopo qualche secondo di apparente anemia , -Non hai
avuto tempo di studiare ieri?- le domandai vedendo che stringeva
incessantemente il mio braccio , quella forza aumentò notevolmente senza però
farmi male , -Stavo pensando alla festa di sabato…cioè , dobbiamo essere
abbinati almeno un po’ o sembreremo due calzini spaiati- . Il tono di Delilah
era assurdamente serioso , come se quella fosse la verità effettuale dei fatti.
Questa era un’altra delle tante cose che amavo di lei , la irriducibile serietà
per le cose che per altri risultano frivole o superflue. Da quel cantone ,
infatti eravamo perfettamente simili , io tendevo a plasmare tutto secondo il
mio pensiero personale e lei , in maniera più elitaria e specifica ,
perfezionava e affinava tutte le frivolezze che non seguivano la sua corrente
di pensiero. –Devi sapere che hanno una concezione molto rigida della religione
scaturita soprattutto dalle faide tra Enrico ottavo e il papa- , -Enrico ottavo
era quello con tante mogli?- , in quegli istanti Delilah staccò la mano dal mio
braccio sul quale rimasero i segni della presa , -Esatto- le dissi infine ,
-Che lenone questo che era!- accalcò continuando la conversazione , -Delilah,
lenone nella tradizione di Orazio si riferisce a qualcuno che sfrutta la
prostituzione – con quella apposizione le volevo far capire la profondità del
concetto , legato soprattutto alla situazione socio politica del tempo , ma lei
rimase impassibile e scosse la testa serrando le labbra in un’espressione
leziosa , -Tesoro , ti sfido a dire che Anna Bolena fosse uno stinco di santo!-
. Detto quello Delilah si allontanò ancheggiando svogliatamente e prendendo
periodicamente contro al fondo dello zaino. Era stranissimo concentrarsi sulle
varie aule scolastiche e sui corridoi in generali , erano un ossimoro di
situazioni reali e surreali. Tutte le persone che vi stavano sedute o vi
passavano semplicemente avevano l’obbligo di farlo per molti anni della propria
vita e la cosa buffa è che non sembrava importare loro il distinguersi , almeno
esteriormente. Erano tutte legate a un preciso carattere nel vestire e a
un’ipotetica figura fenotipica a cui ispirarsi. Molti consideravano quel modo
di vedere le cose come una sfrontata voglia di elevare il proprio io a qualcosa
di invidiabile , ma certamente non era il mio caso : vedere tutti i miei
compagni che cercavano di coprire i propri difetti estetici con vestiti più
ampi , trucco più marcato o anche strani comportamenti di isolamento sociale
non era un bello spettacolo. Sembrava di stare in un regime assolutistico senza
alcun tiranno , come se la tirannia fosse stata volere popolare. Tutti i
comportamenti adolescenziali infatti cominciavano a starmi stretti , era etimologicamente
strano ritenere che una donna potesse essere bella soltanto con delle sostanze
chimicamente prodotte a base di guano di vari animali in faccia o un ragazzo
venisse considerato ben vestito nel portare una canottiera scollata e con
l’occhiatura che arriva sino a metà costato. A pensarci bene infondo era anche
strani tenersi tutto per se stessi sperando che il male non attecchisca mai
troppo all’anima per poi farla esplodere in un pianto eterno. Sinceramente però
era molto più semplice convivere coi propri difetti che con il proprio
malessere interiore perché di quest’ultimo non ne puoi ignorare la presenza , è
come un ruscello che sgorga goccia per goccia da una minuscola fenditura , man
mano corrode la pietra sottostante proprio come il male ingabbia pian piano
l’anima finché essa non decide di ribellarsi. Probabilmente bisognava vedere
tutte quelle dinamiche da diversi punti di vista con relatività diverse dove il
giusto non è quello presente in un mondo di cose sbagliate ma bensì il giusto è
eluso in tutto quello che è invece errato. Per questo motivo io risultavo
inadeguato e senza alcuna speranza di riformazione. Il vero pregio che si
riscontrava nel mondo in cui vivevo infatti era la flessibilità , l’individuo
perfetto in un mondo imperfetto è colui che sa mediare tra l’apparenza e la
verità , come Delilah. Il vero problema era che lei era perfetta sia un mondo
imperfetto che in uno perfetto , davanti alla sua indulgenza infatti vi erano
stati anni di soprusi e frivolezze che si erano inspiegabilmente fermati al mio
arrivo. Probabilmente questa sua forma di redenzione era stata data da un
approdo metaforico e mi piaceva pensare che quell’approdo fossi proprio io. Il
suono della campanella di fine lezione mi distolse prontamente da tutti quei
pensieri distorti che continuavano ad annoverarsi nella mia mente. Guardando il
vassoio della mensa mi accorsi di non aver toccato cibo , cosa che succedeva
sempre più spesso mentre mi perdevo in dissertazioni , e quelle su Delilaherano
quelle che demistificavano maggiormente la mia attenzioni da ciò che mi
circondava , erano come un’enorme impigliata alla mia mente che mi trascinava
in un mondo logistico fatto di probabilità. Spesso non mi permettano di
delucidare accuratamente la realtà e benché provassi tutte le volte a
distaccarmici , essere rappresentavano l’esequia della mia concentrazione.
Quando misi piede nel laboratorio teatrale , dove probabilmente era appena
avvenuta la capziosa litigata tra Delilah e l’insegnante , sentii una sorta di
peccaminosa voglia nella testa che mi diceva di andarmene , di cercare altri
corsi , il teatro no era fatto per le persone che come me cercavano di isolare
la loro vita da tutto ciò che costituiva una valvola id sfogo. Non avevo
nemmeno mai pensato di mettere le mie idee su carta , tantomeno di esprimerle
ad alta voce. La vista di tutti gli altri che si accalcavano per accaparrarsi
le prime file infatti non era un problema per me , io mi sarai sempre
accontentato di un posto intermedio e del mio proporzionale e discreto
andamento scolastico. Forse tutta quella fretta nascondeva anche una certa
insicurezza , dovuta alla voglia di primeggiare l’uno sull’altro , e di essere
notati dalla professoressa Sparks , oppure anche a un fattore di arrotondamento
dei voti , dopotutto nessuno avrebbe definito ignorante un altro se usasse il
proprio talento del recitare per alzare la media scolastica. Quando mi sedetti
, tradizionalmente in terza fila noti quelli anteposti a me. Avevano tutti
degli atteggiamenti diversi , chi faceva dondolare all’indietro la sedia
cigolante , chi si mangiava le unghie dalla tensione , chi mordeva la matita
nel bordo colorato e chi gesticolava velocemente con i pollici ; ma tutti
avevano in comune il desiderio di troneggiare sugli altri e al contempo di far
qualcosa per stessi. Dopotutto ogni corso che ognuno seguiva era finalizzato a
uno scopo interiore e il mio aveva il nome di Delilah. Era stata proprio lei a
stillarmi l’idea di far teatro. –Signor Lincow , sarebbe pregato di seguire la
lezione , oggi parleremo della nascita del cinema , quindi le consiglio di
prendere appunti e di uscire dal suo guscio , una buona volta- la signora
Sparks mi richiamò facendo scattare in me un senso di vergogna che si manifestò
con l’arrossamento del mio viso , -Mi faccia indovinare , Christian ha
manifestato un atteggiamento pernicioso?- una voce dietro di me si spanse
facendo si che tutta l’attenzione fosse fomentata sulla sorgente del suono.
Delilah apparve poi nell’anticamera della sala con le braccia conserte a livello
del seno che apportavano leggere pieghe al vestito blu elettrico che indossava
, -Signorina Lancesters che ci fa qui? Il suo corso è finito l’ora prima-
ribatté l’insegnamento con un atteggiamento stizzito e visibilmente arrabbiato
, la signora Sparks aggrottò appena le sopracciglia e piegò all’infuori le
labbra mostrando le rughe si espressione che si spendevano attorno alla bocca ,
Delilah non la degnò nemmeno della sua risosta , si fece strada verso di lei e
le mise un foglio quadrangolare sulla cattedra facendo ciondolare i bracciali
che portava nel braccio sinistro , -Questo è il modulo del mio trasferimento ,
ho deciso di continuare le mie esperienze teatrali privatamente- , -Rinunciando
quindi al vantaggio economico che porta- sottolineò la donna , -Posso ancora
permettermi delle lezioni private signora Sparks- Delilah mise i puntini sulle
i in maniera molto maliziosa , -Le ricordo che lei non guadagna ancora nulla
signorina Lancesters , sarà tutto a carico dei suoi genitori , suo padre mi
sembra troppo permissivo con lei- , -Lei si attenga al suo lavoro sottopagato ,
per quanto riguarda il resto , lei non ha alcuna voce in capitolo- detto quello
Delilah scomparve mostrando prima le sue giovanili fossette in contrasto con le
rughe dell’altra donna , il ticchettio delle sue Mark Jacobs continuò a
risuonare sulle scale come l’eco di una vita che si spegne. Il ticchettio
assordante e monotono della campanella continuava a schiarirsi nella mia mente
mentre cercavo di connetterlo con la fine vera e propria della lezione. In
quegli istanti successivi continuavano a balenare nella mia mente le parole
saccenti che sembravano rannuvolarsi ripensando all’immagine cristallina di
Delilah. Non mi era mai sembrata quella
tipologia specifica di persone , la sua sfacciataggine e peculiarità
nell’argomentarsi non erano mai sfociate nella maleducazione esposta
chiaramente alla persona interessata. Forse mi sbagliavo sul suo conto e avrei
dovuto usare di più l’ingegno , dopotutto i miei ragionamenti lunghi e contorti
che accompagnavano ogni momento della mia giornata avevano un solo fulcro ,
quindi , come era possibile che questi decadessero ? Questa visione era infatti
una complicazione perché Phoenix era rappresentato da Delilah, e non avrei
sopportato un’esistenza repentina e assidua senza la sua presenza nella mia
vita. Forse però le grandi fortezze sono sempre le prime che cadono : il
Titanic , la concezioni antropocentrica dell’uomo nel rinascimento dopo le
scoperte di Galileo , il pudore della
società del ‘900 prima dell’avvento di Vladimir Vladimirovic Nabokov o il
decadimento radioattivo del carbonio . “Forse anche scoprire che Scooby Doo
parla soltanto perché Shaggy è un hippie fattone e si immagina tutto” avrebbe
detto Delilah. Alla fine della fiera però togliere un chiodo fisso dall’asse
dei ricordi sarebbe stato un bene , a volte le cose che nascono dopo una grande
rottura rappresentano un elemento legante più saldo ancora. Se il mio rapporto
con Delilah fosse scemato , la mia preoccupazione primaria sarebbe andata a lei
: come prenderebbe questo? Nel migliore dei casi avrebbe obnubilato tutta la
faccende gettandola in un meandro recondito della sua mente , nell’altro caso ,
invece , quello che egoisticamente preferivo considerare , Delilah avrebbe
apportato un’opera di ricostruzione. Certamente il valore della mia definizione
di costruzione e della sua erano fortemente opinabili , ma il mio egoistico
bisogno di una famiglia voleva che per lei io rappresentassi ciò che
analogamente lei rappresentasse per me : una vera e propria demistificazione
dell’orrore e una deleteria perdita della cognizione mentale. Quando stavo con
lei infatti mi sentivo proprio in questo modo , senza alcun limite stendibile e
senza alcuna preoccupazione crescente , era la medicina socratica per certi
versi , ma con un’accezione fortemente positiva su tutti i fronti. Non
sopportavo pensare a me senza Delilah, rappresentavamo ormai un epiteto fisso ,
una di quelle coppie come Mulder e Scully , Bonnie e Clyde , Cliff e Clare o
Will e Grace. Probabilmente potevo risultare monotono a me stesso , ma non
avrei mai finito di sperare che un giorno Delilah si accorgesse di come ho
sempre cercato di trattarla o di come l’ho sempre guardata oppure , meglio
ancora , del preciso istante in cui , guardandola ancheggiare allegramente
avevo avuto la conferma che lei era speculare a me , riempiva il grande vuoto
che nessuno era mai riuscito a colmare e che probabilmente da parte mia , stava
cominciando a nascere tutt’altro sentimento. Tuttavia , per l’ennesima volta le
mie profonde deduzioni logiche che balenavano incessantemente nel mio cervello
, mi distolsero dall’aspetto concreto della realtà , la signora Sparks , mi
stava fissando con la bocca avvizzita da leggere pieghe d’espressione , i suoi
capelli arricciati nelle punte la facevano sembrare una donna degli anni
cinquanta , ma il vestito eccessivamente colorato e intriso di ricami floreali
distaccava fortemente. –Prima che lei vada signor Lincow deve rispondere a
qualche domanda- imbarazzato e con una chiazza rossiccia sul collo che sentivo
spandersi in tutto il mio viso oramai paonazzo mi avvicinai alla professoressa
, il suo sguardo era glaciale , in forte contrasto con il colore scuro dei suoi
occhi , -Ricorda a Delilah che questo le costerà una sanzione comportamentale-
, alzandosi la signorina Sparks mosse leggermente la cattedra verso di me ,
indietreggiai appena per far spazio al mobile e con un audacia feci un sospiro
profondo e repentino , scaricando la maggior quantità di tensione possibile. Mi
passai una mano nei capelli arruffati , cercando di sembrare il più ordinato
possibile , -Mi scuso in prima persona per il suo comportamento , non l’ho mai
vista comportarsi in tal modo-. Moderai la voce in modo da sembrare il più
serioso possibile , nascondendo però malamente il dissenso e l’imbarazzo che
provavo. Benchè sapessi di non aver la forza per prendermela con Delilah, mi
fece rabbia il suo comportamento sfrontato , difatti il suo eccentrico modo di
esprimersi non si era mai esternato in questo modo prima d’ora , non aveva mai
inveito con un insegnante , -Sai Christian , tu sei qui da poco- . Il tono
della signora Sparks assunse una profonda nota grave come se fossero parole
dette da un uomo nerboruto , -Cosa intende?- le domandai in maniera sottesa
cercando di fare un sorriso un po’ sornione e sorpreso. Non mi era mai giunta
voce del suo grande cambiamento , cioè avevo intuito il suo distaccamento da
una compagnia per iniziare a frequentarmi
ma non lo avevo mai inteso malamente e neppure Delilah aveva mai fatto
cenno a una rottura così drastica con quei ragazzi. Da quel momento
cominciarono ad assalirmi molti dubbi Amletici , legati soprattutto a quanto di
vero ci fosse nelle parole di Delilah e a quanto di concreto potesse esserci
nelle mie dissertazioni , difatti era strano pensare a lei come un elemento
così importante della mia vita , era balenata nella mia esistenza solo qualche
mese prima , come per un caso provvidenziale. Era una meteora che ha deturpato
il mio equilibrio precedente e senza alcuna considerazione io mi sono buttato a
capofitto nel baratro di una relazione. Non avevo valutato i recessi di quella
persona , non avevo fatto domande sul suo strano comportamento nei confronti
degli altri , non mi ero nemmeno posto questi problemi : probabilmente per la
mia ricerca di affetto dovuta soprattutto alla depressione incalzante di mia
madre , la lontananza di mio fratello Grayson oppure anche per via della
rottura della mia famiglia dopo la morte di mio padre e di mia sorella. Questi
erano tutti aspetti che tendevo a tenere per me , non mi piaceva parlare agli
altri delle mie complicazioni personali , ma Delilah era riuscita a
estrapolarmi tutto in qualche modo , forse era il suo fascino o forse mi ero
semplicemente e stupidamente fidato di lei. La signorina Sparks mi fissò alla
fine negli occhi , intuendo i miei incessanti ripensamenti su Delilah, -Non
sarebbe giusto che te lo dicessi io , Christian , vai a chiederlo direttamente
alla fonte-.
Quella stessa sera mi feci forza , come non mi accadeva da
tanto tempo , anzi , forse , non mi ero mai imposto nel modo che avevo
preventivato con una persona. Dopotutto non doveva essere semplice chiedere a
una persona le ragioni di una scelta. Era sbagliato in una certa ottica , dopo
tutto nessuno condivide mai pienamente la scelta di ognuno e la bellezza della
somiglianza l’avevo sempre considera uno stupido espediente per arrancare verso
un fine secondario. Forse dirigermi verso la casa di Delilah in quel momento
era l’azione più sbagliata che avevo mai fatto , non so se mi avrebbe voluto
ancora bene oppure mi avrebbe disprezzato fino alla fine dei suoi giorni. Una
delle cose che lei odiava di me era proprio questa mia insana mania di
considerare tutti i casi possibili senza lasciare mai nulla al caso , anche se
in un universo spionistico era la cosa più intelligente da fare. “Un giorno ti
candiderò come guest star in un episodio di NCIS” aveva detto scherzosamente
una volta , riferendosi proprio a quello. Dopotutto però un modo molto
filosofico di pensare , in questo modo si poteva ridurre al minimo l’errore
umano , tuttavia il vero errore che ritenevo di star facendo era proprio quello
di cercare un contatto diretto con Delilah. Avrei verso quel poco di felicità
che mi restava ? o mi sarei salvaguardato da una persona che volevo a tutti
costi che fosse perfetta ma così non era?
Ritenevo fosse un’argomentazione interessante , tuttavia
anche se Delilah si fosse rivelata tutto l’opposto di quello che pensavo fosse
non era giusto affiggerla al muro in questo modo , non tutti infatti si
comportano sempre nella stessa maniera. Probabilmente era un suo modo di
esprimersi che io non avevo mai considerato , un modo irruento senza dubbio ,
ma pur sempre qualcosa che faceva parte di lei. Quindi qualcosa che probabilmente
dovevo iniziare ad amare di lei , proprio come Delilah surclassava sui miei.
Stavo facendo passi abbastanza svelti per i miei standard , ci voleva poco ad
arrivare a casa di Delilah dall’altra parte dell’isolato. Mentre passavo stavo
ammirando le aiuole ben tenute , con i loro fiori perfettamente curvilinei ,
gli alberi in fiore , i vialetti di marmo bianco , quelli in ghiaia senza alcun
granelli fuori posto , sembrava quasi un’ambiente fittizio , come se qualcuno
avesse voluto rendere tacito qualcosa di sordido. Dietro ognuno di quei
giardini , c’era sicuramente una massaia onorevole che però eludeva qualcosa di
se in quel modo. Tutti lì cercavano di essere perfetti , come se la periferia
di Phoenix dovesse divenire il nuovo centro città. Ricordavo come invece a
Washington fosse tutto diverso , una volta , in autobus , ero seduto sul lato
del finestrino , come sempre assorto tra i miei pensieri capziosi e
filosoficamente privi di risposte , affianco a me si sedette una musulmana col
burka , aveva un colore scuro ed era privo di qualsiasi inserto , cullava un
bambino tra le sue braccia e
amorevolmente gli carezzava i radi capelli da fanciullo che aveva. Sembrava una
donna come tutte le altre , portava suo figlio nel centro città per fargli
visitare il maggior numero di luoghi possibili , una donna come le tutte le
altre insomma. Venne il momento in cui un controllore le fece la multa e lei ,
con uno sguardo impaurito e sconfortato , si ritrasse in una posizione più
supina , si avvicinò alla testa del bambino , toccandogli la fronte con la
propria e pregando nella sua lingua di appartenenza. L’emissario pubblico le
fece delle cordiali domande di corrispondenza , senza scomporsi troppo , e lei
rispose che se le avesse effettivamente fatto la multa , quella sera , il
marito l’avrebbe malmenata , battuta fino a crearle dolorosi lividi per lo
sbaglio che aveva fatto. Era proprio questa la grande differenza tra quel
quartiere della periferia di Phoenix e Washington : le aiuole erano più verdi ,
le casalinghe militarmente e tassativamente ben vestite e i mariti sempre a
lavorare per la propria famiglia ; perché lì i veri mostri si mostravano a
porte barrate. Delilah probabilmente non corrispondeva a quella tipologia di
persone , anche se è difficile differenziarsi all’interno della propria specie
, cioè definire una cosa in un certo modo indica che tutte le altre cose
affiliate ad essa sono eguali o comunque tendono all’emularla. Probabilmente
era sbagliato partire da presupposti simili , anche perché Delilah si era
dimostrata anticonformista in plurime occasioni. Talvolta tendeva ad esagerare
, come aveva puntualizzato proprio quel giorno , ma era ben diversa da quei
manichini che impreziosivano la propria vita senza invece adornare ciò che
veramente conta , loro stessi. Delilah infatti era proprio così , mostrava
sempre la sua vera faccia , vile e tosta o dolce e comprensiva che fosse ,
senza fare sconti a nessuno , omettendo
omertà e ipocrisia da tutto ciò che la rappresentava. Era un bel modo di
presentarsi il suo , talvolta risultava molto schietta mentre alte molto più
fine , sicuramente era piena di sorprese e non mancava mai nel puntualizzare
che dava il meglio di se durante quel
periodo del mese. Speravo infatti di non esser caduto proprio in quella settimana
di fuoco , ma in ogni caso ero come Ulisse che andava incontro alle colonne
d’Ercole , all’ignoto. Mi sentivo proprio in quel modo : alquanto svuotato per
certi versi , corroso da quelli che sono i miei interessi e le mie passioni.
Non che Delilah mi pesasse , tuttavia era difficile esser portator di un
fardello come quello di dover chiedere spiegazioni per un comportamento
alquanto altezzoso e vizioso come quello avuto da lei. Continuando a disquisire
con me stesso su capziose domande e collegamenti che spesso risultavano
totalmente privi di logica , non mi accorsi di aver superato il vialetto della
viletta a schiera di Delilah, tornando indietro mi inoltrai lungo il fitto
roseto che costeggiava tutto il perimetro della casa , senza passare per il vialetto
ghiaiato. L’erba era verde e ben curata , come se fosse un pratino inglese ,
non dubitavo che la sua famiglia avesse i mezzi necessari per permettersi un
giardiniere , ma nemmeno che ci tenesse così tanto alla forma con cui si
presenta esteriormente la casa. Ultimamente mi sentivo ipercritico e ripetitivo
, analizzavo troppo quella che era la psiche delle persone , forse per cercare
di dare una compiutezza alla mia o anche solo per il gusto di farlo. Questi
cambiamenti di personalità infatti erano comuni nell’uomo e nella storia ,
potevano essere legati a un evento particolare della vita o semplicemente a
qualche malattia neurodegenerativa ; tuttavia , qualunque fossero le mie
giustificazioni si dirigevano inesorabilmente verso un solo centro , Delilah.
Risalii pian piano il porticato in legno , ogni passo che facevo creava un
leggero tremolio nella scala successiva , come un suono di percussione scordate
, non sembrava l’ambiente ideale per colloquiare animatamente , ma almeno era
abbastanza riparato dalla visione globale. Il colore del cielo stava iniziando
ad oscurarsi , il sole di Phoenix tuttavia non lasciava certo un’arietta fresca
e rincuorante , ma un’afa calda e stantia , che impregnava malamente i vestiti
e donava a tutti gli abitanti lo stesso e sgradevole odore. Per un forestiero
non era facile abituarsi a tutto quello , soprattutto in virtù del fatto che
l’odore di pioggia era per me infinitamente più gradevole di quello lasciate da
ascelle segnate di sudore e corpi ronzanti e traballanti dalla pesantezza
dell’aria. La maggior parte delle volte in cui mi immedesimo troppo in quella
che è l’irrealtà delle cose finisco per perdere la cognizione del tempo ,
lasciandomi scorrere addosso quelli che sono interi momenti della mia vita
senza che vengano controllati da me medesimo. Quella era proprio una di quelle
occasioni , con molta probabilità infatti ero nella medesima posizione da molti
attimi e , se non fossi stato sicuro di me stesso a tal punto da capire che la
mia apparente codardia era legata alla mia logorrea mentale , chiunque avrebbe
supposto che lo scontro con Delilahmi spaventava. Per mia fortuna non era così
, Delilah era sicuramente un personaggio e non mettevo in dubbio la difficoltà
di sostenere psicologicamente un discorso serio con lei , tuttavia era anche
una delle poche persone che mi erano rimaste e non avrei demorso in alcun modo
pur di chiarire le varie dinamiche. Mi apprestai a suonare , con molta calma ,
lisciandomi la maglietta e la parte superiore dei jeans , avevo scelto un
vestiario più sportivo rispetto a quello scolastico , sperando che lei
apprezzasse , non passò molto tempo e vidi un’ombra apprestarsi verso la porta.
Rischiarata dalle tendine di lino pizzate nei bordi vidi in controluce il viso
di Delilah, perfetto e simmetrico come sempre , mi aprì mostrando uno sguardo
glaciale misto tra il truce e l’indiziato , con la bocca mostrò le delicate
fossette e con un gesto della mano mi invitò ad entrare. Ero stato parecchie
volte in casa sua , senza però chiedermi mai come potesse essere , mi ero sempre presentato per
vedere lei , senza mai dare un occhiata particolare alla casa. A una seconda
occhiata però risultai in grado di ricondurre molti particolari con fotogrammi
della mia memoria : il piccolo tavolo a sinistra dell’uscio , il vaso con
dentro le chiavi appoggiato su di esso , la porta scorrevole qualche metro più
avanti che conducevano ad un'altra parte della casa e le scale sempre sulla
sinistra che creavano un sottoscala molto alto che separava i due piani dell’abitazione.
Delilah aveva i capelli leggermente bagnati , probabilmente si era lavata da
poco , non l’avevo mai vista così in disordine prima d’allora , sempre che il
disordine possa essere visto in uno chignon legato saldamente da due stecchi di
plastica neri e in una delicata canottiera con le spalline merlettate color
avorio. Ero sempre stato reticente prima d’allora all’idea di vedere Delila
hper parlarle di qualcosa che mi aveva dato fastidio nel suo comportamento.
Forse perché prima d’allora ero stato succube di lei , nella vana speranza di
trovare un’assurda approvazione sociale , tuttavia non mi ero mai considerato
in quel modo soprattutto perché arrivato a quel punto cominciavo a mostrare un
particolare apprezzamento e interessamento di carattere più che confidenziale
con Delilah. I miei desideri
adolescenziali infatti non erano mia stati così enfatizzati , ma non solo alla
vista di Delilah, ma anche rispetto a un’attrazione di carattere emotivo. Era
fantastico infatti identificare una persona come affine a te , in un modo o
nell’altro era inesorabile trovarsi d’accordo con tutto ciò da lei detto , e
quindi forse il fatto che io fossi andato la per parlarle a quattr’occhi di ciò
che era successo in classe era un chiaro segno del mio avanzato stato di maturità.
La mia diversità sembrava aver dato i suoi frutti dopotutto , anche perché
vedendo una ragazza come Delilahil primo pensiero che viene non è di certo
riguardo al suo carattere o riguardo ai suoi occhi. Perciò non ero sicuramente
peggio di qualsiasi spasimante che lei avesse mai avuto , questo sicuramente
non mi autorizzava ad offendere il suo modo di agire o di veder le cose , ma
sicuramente mi assicurava una via di comunicazione in più con lei. La mia mente
continuò per la sua tangente , elaborando una peripezia dietro l’altra e
cercando razionalmente di allineare tanti tasselli per dare vita a un
ragionamento sensato che riguardasse il trovarmi lì assieme a lei.
Probabilmente non avrei nemmeno dovuto pensarci tanto , perché sapevo bene che
finivo sempre col pensare troppo e agire poco , ma cambiare l’indole e il modo
di agire di una persona è una delle cose più complicate al mondo. Forse cercavo
inconsciamente di cambiare l’opinione di Delilah ma sapevo benissimo che il mio
istinto primario era quello di parlarle per capire cosa stava succedendo e in
qualche modo estorcerle qualche informazione su stessa e sul suo passato. Mi
piaceva definire questa mia indagine come curiosità più che come una bramosa
voglia di informazioni , ma in ogni caso apparii come Scooby Doo che cercava di
risolvere un mistero partendo da una frase dettami da una professoressa. –Vieni
Christian- mi esortò con un leggero sorriso , come se non si volesse mostrare
troppo entusiasta di vedermi. Sapeva benissimo cosa ero venuto a fare e la sua
camminata non lasciava punti di domanda , il suo atteggiamento era leggermente
attonito , come se si aspettasse chissà cosa da parte mia , -Forza- mi esortò
nuovamente verbalmente accomodandosi sul suo letto e indicando il posto attorno
a se. Io la seguii a ruota mettendomi affianco a lei e sedendomi a braccia
conserte , buttai indietro la schiena probabilmente per cercare di evitare il
suo sguardo glaciale e sapiente. Con la coda dell’occhio , notai che Delilah si
era accovacciata a gambe incrociate , giocando allegramente col piede
picchiettando il bavero della mia maglietta , -Sei stata una furia oggi con la
signorina Sparks..- incomincia , già notevolmente pentito di aver aperto bocca.
Mi rigirai le nocche sugli occhi per cercare di eliminarmi da quella situazione
, ma senza alcun successo , sentii il materasso che si levava appena , segno
che Delilah si era alzata , io fece di conseguenza , fissando il so sguardo
pienamente centrato sulla mia figura , -Sai è curioso..- disse ridendo , in cuor
mio speravo proprio che fosse sarcastica , perché quella era proprio il cotesto
meno indicato. –Come tu…beh , si , tu sia qui , per chiedermi spiegazioni sul
mio comportamento , cioè , voglio dire ,
so benissimo che hai tante domande , ma sicuramente tu non sei venuto per me
Christian , ma per stesso..- ansimò appena , senza dare particolari spiegazioni
al mio viso che portava un’espressione interrogativa , -Io mi aspettavo che tu
venissi qui da me con un vestito , un fiore o un cioccolatino, sognavo che tu
almeno ti ricordassi dell’invito che ti avevo fatto…sai avevo pianificato tutto
, tu che venivi , tutto impettito e con il tuo andare goffo e adolescenziale ,
io in ritardo , i nostri genitori che si arrabbiavano per l’orario , tutto , ma
quello che importa a te è te stesso!- a quel punto mi tornò alla mente la festa
di cui avevamo parlato poche ore prima e una fitta mi trapassò la schiena , ora
come ora il mio maniacale ordine mentale aveva avuto un’avaria interna ,
-Delilah, io..- cercai di giustificarmi inutilmente , -Non dire nulla Christian
, perché non c’è ne Delilah né nessuna scusa che tenga , perché beh ,
concepisco che è un bisogno naturale per te sapere tutto il possibile sulle
persone , ma come vedi in questo modo tendi a ferire gli altri… io Christian
però voglio che tu capisca che ti accetto , accetto il tuo modo di vedere le
cose e di conseguenza i tuoi comportamenti e voglio rispondere ad ogni tua
domanda , perché vedi , l’unica ragione per cui mi vedi come sono adesso sei
proprio tu.- . Lei rimase sul vago , girando impettita dietro e avanti per la
stanza , ora tutti i miei discorsi filosofici e dimostrativi risultavano essere
antinomici o perfino para logici , -Perché proprio io?- riuscii a chiederle ,
-Perché non tu?- mi rispose lei , -Non ribattere a una domanda con un’altra
Delilah- la pregai , lei rise nuovamente , con un sorriso amaro con cui si
strinse i denti , -Christian tu non ti rendi nemmeno un minimo conto di come
rendi migliore me e nel medesimo tempo te stesso. Prima di conoscerti ero molto
vendicativa e benchè la ragione è una virtù molto difficile da attribuire io ho
sempre considerato ragionevole e giusto quello che mi faceva star bene e la mia
mancanza di tatto e riguardo verso di lei mi ha fatto sentire soddisfatta di me
stessa perché è proprio questo che mi spingeva a comportarmi così , il
riscontro finale , il vedere la tristezza nelle persone che scaturiva dalla mia
assurda arroganza. Ritenevo infatti che abbassarsi al livello degli altri non
fosse negativo , anzi , il contrario , perché se nel dolore di un'altra persona
io ne ricavo benessere psicologico dicevo , perché no?! E vedi Christian tu sei
quello che con la costanza e con un certo atteggiamento se vuoi pacato alle
volte fai perdere man mano in vizio anche al più vecchio dei lupi..-.
Delilahfinì di parlare sospendendo la frase e rimando ansimante , con gli occhi
golfi e lucidi e con qualche lacrima che le cadeva dagli occhi , si avvicinò
poi a me pian piano che nel mentre mi reggevo sugli avambracci , mettendo le ginocchia
a livello del mio bacino si piegò su di me guardandomi da una distanza
estremamente ravvicinata , anche in quel momento non mi posi domande ma le
asciugai una lacrima dal viso prima che cadesse sul mio , -Sai non sono mai
stata abituata farmi mettere i piedi in testa , ma soffro anche troppo perché
hai visto il lato che detesto che la gente noti , mi ricordo ancora quando ti
incontrai la mattina del tuo trasloco mentre attraversavo il tuo viale con la
macchina eri sulla veranda a sistemare un qualche libro e nel mentre aiutavi
tua madre con le scatole , lì , proprio in quell’istante capii che volevo
conoscerti in tutti i modi possibili in cui l’uomo può relazionarsi coi propri
simili..- pronunciate quelle parole non si espresse più , cominciò solo a
baciarmi , prima in bocca e poi lungo il collo , le sue labbra si stanziavano
sulla mia pelle distendendosi dalle leggere pieghe che portavano quando erano
invece salde a chiudere la bocca , scese sempre più giù , fino a finire
nell’incavo del collo dove pian piano inizio a premere più intenesamente
adattandomi alla differenza di temperatura corporea della sua bocca , sorrise soddisfatta del suo operato e
continuò passando le mano lungo il mio addome , piccolo e magro , sul quale
rigò appena la pelle con il pollice e rise , mi tirò su la maglietta
sfilandomela poi di dosso e gettandosi su me baciandomi ancora ripetutamente.
Io ricambiai appena mollò la presa ,
scesi lungo il suo collo scarno e pallido con una pelle perfetta e morbida fino
a sfiorarle con le labbra l’incavo del seno , a quel punto lei si alzò
levandosi la magliette e sfilando i pantaloni , io feci di conseguenza. Delilah
rimase in langerie e con un movimento veloce le cinsi i fianchi , anch’essi
perfettamente equilibrati con la sua figura e comincia a sfiorarle
delicatamente le spalline del reggiseno di pizzo nero con l’intendo di aprire
il ferretto dietro. Fatto ciò le sciolsi delicatamente anche i capelli che
ricaddero ancora bagnati sia sul mio che sul suo corpo. A quel punto la strinsi
a me con forza sentendola ansimare , cercai quasi di annetterla a me stesso
perché fino ad allora non avevo mai desiderato una cosa così tanto e in tale
modo. Mi misi sopra si lei e la vidi sprofondare con la sua lunga chioma nel
cuscino di piuma d’oca , era bellissima , raggiante e sorridenti , con occhi
ridenti , gaia e senza alcuna nenia continuai guardando però prima cielo , e pregando di sparire in un tetro oblio , inosservati tanto
quanto il povero gentile buio tra la bellezza delle stelle.
GIORNO TERZO
Da quel momento in poi
mi rimanevano ben pochi ricordi , offuscati comunque da quella che è rabbia e
tristezza…
La mattina seguente ci
alzammo di soprassalto sentendo la porta scardinarsi e udendo passi pesanti che
si infrangevano sulle scalinate , Delilah era legata a me , scompigliata e
agitata , penetrarono nella stanza degli uomini in uniforme muniti di
mascherina , sembravano dei mosconi , fastidiosi e rumorosi. Non diedero alcuna
spiegazione , ma l’unica cosa che ricordai di quel giorno era che ci
addormentarono e ci svegliammo in un bunker , con pareti bianche , non
ammobiliato , solo con un taccuino e una penna appoggiati a un fianco di un
uscio sigillato. Era biblico il lasciarci vergare una sorta di ultime
lodi , simboleggiava quasi il passo “in principio era il verbo” come una
sorta di ciclo che portava a compimento qualcosa , come se tutto dovesse finire
come era iniziato. Di quegli ultimi attimi ricordo anche di aver visto due
sagome , esattamente uguali a me e Delilah, che venivano rinchiuse in malo modo
in una seconda struttura. L’unica cosa che mi tornava costantemente alla mente
era la verità che mi raccontò mio fratello Grayson assieme a un certo William.
Disse che io e Delilah facevamo parte di un progetto speciale , il P.P.C. ,
progetto protezioni cloni. L’uomo infatti ha un rapporto con la scienza diverso
da quello canonicamente accettato. Il mondo si erge su molte bugie , legate
soprattutto al contatto con esseri extraterrestri. Un contatto che risiede
molto indietro nel tempo. Per farci capire William ci riferì che le scoperte
sulla genetica umane fatte nel ‘900 erano già conosciute ai tempi di Leonardo
Da Vinci da parte di associazioni segrete ancora esistenti di cui facevano
parte anche lui e Grayson , proprio come mio padre. Christopher Lincow era
stato quindi colui che aveva immerso la nostra famiglia in questa storia ,
aveva donato tutto se stesso a questa scienza segreta e aveva si era
sacrificato assieme all’intero ceppo
genealogico in favore di un bene superiore per il prossimo. Io di conseguenza ,
proprio come Delilah, ero il risultato di un esperimento di clonazione con
immessi dei geni aggiuntivi alieni. Ci hanno descritto quindi i nostri
comportamenti , i sentimenti che io e Delilah provavamo l’uno per l’altra come
una sorta di esperimento epigenetico , ma la cosa divertente rimaneva che alla
domanda –Perché li servite?- quello che ho sempre considerato mio fratello , ma
che biologicamente non è mai stato tale , non ha saputo darmi una risposta. Il
motivo della nostra cattura era un futile errore di calcolo per cui durante il
trasferimento dei veri noi stessi , questi ultimi scapparono portando con loro
una scia di vittime , perché comunque non erano mai stati portati al di fuori
della struttura in cui sono nati e non conoscevano la moralità umana. Le tracce
da loro lasciate ha ricondotto a noi e semplicemente quindi la morte mia e di Delilah
rappresentava un semplice errore umano.
Al momento della fine
Christian ricordò una frase di William “loro sono con lucifero all’inferno o
come Dio in paradiso , le loro insegne sono innalzate ovunque ; il problema è
che se l’uomo è all’inferno , voi non so dove possiate essere” e questo era la
spiegazione migliore al loro avvenire. La stanza si colorò di luci , blu ,
rosse e gialle , e cominciò a tremare tutta , Delilah si strinse a lui ,
piangendo e ripetendo con voce fioca che voleva che tutto quello fosse un
sogno. Per la prima volta Christian non si fece alcuna domanda , aveva la mente
sgombra , -Non temere , è più facile accettare un destino che non ti sei
prefissata tu- le ricordò , -In quale stupido classico l’hai letta Christian?-
si sforzò di dire lei con un tono di accettazione , lui fece di no con la testa
, indicando che gli veniva dal cuore , Delilah gli sorrise poggiandogli il viso
intriso di lacrime sul petto , non troppo convinta. Nel mentre la serratura della
porta di aprì autonomamente e una luce bianca li accecò ,
comparve un essere grigio , alto e smunto che tese la mano verso
di loro.
-Sarebbe stata questa tua testardaggine a farmi innamorare
di te , Christian- gli ricordò lei
-E sarebbe stato lo stesso motivo che ci avrebbe impedito di
stare insieme- mormorò lui
-Ho bisogno di averti con me Christian , nella speranza di
un mondo migliore-
-Questo è quello che mi spaventa Delilah, ma io voglio
crederci-.
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