LO SCHERMO di Nicole
Lanzi
Lo schermo si accese. C'era una pagina, bianca, pulita. Poi
una penna si avvicinò. Le urlai contro
ma lei non mi ascoltò e dalla sua punta cadde una goccia d'inchiostro
che rotolò sulla superficie ora non più perfetta. Si fece strada correndo
sempre più veloce finché non apparvero dei riflessi più chiari sul nero più
assoluto e la goccia divenne rossa. La telecamera sembrò allontanarsi allora e
vidi che la pagina era in realtà un corpo e la goccia maledetta, sangue che
ormai aveva creato una rete incancellabile di fili rossi sulla pelle pallida.
Ad un tratto cadde un'enorme scaglia di ghiaccio che trafisse il cuore del
corpo senza nome. La telecamera allora si allontanò di nuovo e quel
terrificante pezzo di ghiaccio si rivelò solo una punta di un fiocco di neve.
Il canale cambiò. Non so come, io non avevo toccato nulla... Mostrò il nero, il buio che piano piano divenne un
grigiastro ombroso fino a mostrare qualche punto di luce. Si intravedevano delle figure ma i contorni
erano sfuocati. Dopo qualche secondo la definizione migliorò e riuscii a
distinguere le immagini. C'era una stanza, bianca, piena di mobili bianchi: due
letti bianchi e tre armadi bianchi. C'era anche un tavolo, piccolo, squadrato,
bianco con sopra un macchinario pieno di tubi, anch'esso bianco. Solo i cavetti
non erano bianchi, ma erano di un grigio brutto e opaco. La porta, anch'essa
bianca si spalancò ed entrarono due persone con il camice che immaginai fossero
dottori. Stavano parlottando tra loro a bassa voce anche se non capii il perché
visto che erano soli nella stanza. Bisbigliavano mentre mettevano sul tavolo
delle sacche e vi inserivano un liquido trasparente. Provai ad alzare il volume
ma non trovavo il telecomando. Mi concentrai allora sul loro linguaggio del
corpo. L'uomo era anziano, con la barba corta e i baffi folti ormai tendenti al
grigio. La statura bassa e robusta rivelava una dieta poco solida. Somigliava
un po' alle immagini di Babbo Natale che vedevo anni fa. I suoi gesti però non
erano quelli di un fabbricatore di giocattoli per bambini buoni. Era nervoso,
si capiva dalle mani che non avevano mai smesso si muoversi come animate da una
forza incontrollabile. E il suo viso sarebbe stato gentile e rasserenante se
non avesse avuto una smorfia come di irritazione e fastidio che gli teneva
occupati labbra e sopracciglia. La donna era invece più calma. Doveva avere
circa cinquant'anni ma li portava con molta eleganza. Aveva i capelli biondo
chiaro raccolti dietro il capo ed era più alta del collega. Il suo viso era
gentile e piacevole sebbene dalla postura un po' rigida capii che anche lei
doveva essere leggermente a disagio. Una volta finito di riempire le sacche si
avvicinarono allo schermo e la donna scomparve. Dopo qualche secondo rientrò in
scena, questa volta a mani vuote e si incamminarono entrambi verso la porta.
Prima di uscire guardarono per un secondo la telecamera e io pensai a quanto
incapaci siano gli attori di oggi, vanitosi e incompetenti. La porta si chiuse
piano, come furtivamente ma ancor prima che toccasse lo stipite lo schermo si
fece a macchie e poi di nuovo il fiocco di neve.
in mano aveva un quaderno che guardava con concentrazione.
Non appena chiuse la porta il ciuffo a destra si mosse, alzandosi di scatto. La
testa della signora si girò verso quel punto e disse qualcosa che supposi
essere delle scuse verso l'altra persona. Quest'ultima entrò in scena
completamente e si scoprì essere una donna anziana, con i capelli che, a parte
quel ciuffo ingannatore, si stavano già ingrigendo. Era di spalle, ma si vedeva
il fisico minuto e smagrito. Le due iniziarono a parlare. Sembravano tristi.
Forse la vecchia era una paziente e la dottoressa le doveva comunicare una
brutta notizia. Ad un certo punto aprì il quaderno e ne tirò fuori un foglio
sul quale si mise ad indicare dei punti. Non ingrandivano le scritte quindi non
sapevo di cosa si trattasse ma di certo nulla di buono. L'anziana signora
sembrava così sconsolata. Questo canale era veramente deprimente. Mi misi a
cercare il telecomando ma non riuscivo a vederlo con il buio. Tastai a destra e
a sinistra ma non trovai nulla. Dopo dieci minuti sprecati, mi rassegnai e
tornai a posare lo sguardo sulla televisione. La dottoressa se n'era andata e
nella stanza ora c'era solo la signora. Era ancora di spalle, con la testa
china, la schiena ingobbita, come se avesse un peso enorme e non trovasse la
forza di alzarsi. Piano piano si girò, come a rallentatore. Per prima spuntò la
pelle rugosa e pallida, poi a poco a poco riuscì a vedere anche il naso,
piccolo e schiacciato e la bocca sottile. Per ultimi vidi gli occhi, ma furono
quelli a colpirmi. Erano grandi come due noci e scuri come una notte nuvolosa.
In essi, se osservati attentamente, si poteva scorgere il dolore, tanto dolore,
e un sacco di rimpianti. La donna guardò fisso verso la telecamera e con
straziante pena, iniziò a piangere, come se volesse essere sicura che gli
spettatori non distogliessero lo sguardo. Non era però un pianto rumoroso e
forte, era uno di quei pianti silenziosi, amari, il peggiore. Mi faceva sentire
strano, avevo come un malessere fisico che mi attorcigliava lo stomaco. Non mi
piaceva. Provai a chiudere gli occhi, per estraniarmi da quell'orrore, e forse
qualcuno spiava i miei pensieri perché quando li riaprii sullo schermo non
c'era più il dolore. C'era invece una foglia. Una foglia piccola e leggiadra,
verde chiaro, che cadeva da un cielo senza nubi. Una mano si alzò a prenderla,
grande, veloce. Quasi un giaguaro che agguanta una farfalla. La strinse forte,
come se fosse un collo da strozzare e in quelle tenaglie, la frantumò. Da essa
scivolarono briciole verdognole, secche e morte ormai. Mi rendevo conto che la
foglia, non essendo più attaccata all'albero, era comunque morta, ma quelle
briciole sembravano davvero le viscere di un cadavere. La mano prese ciò che le
era rimasto e se lo portò alla bocca. Alcuni pezzi rimasero incastrati nei
lunghi baffi che tremavano ad ogni movimento della mandibola. Poi, come a causa di un buco nero, tutto
venne inghiottito da un cerchio. Al suo interno iniziarono a comparire dei
segni: numeri e lettere. “A= Πr2 “, “P=F/S”, “A1*V1=A2*V2”...Odiavo
quei canali da genietti. Le persone guardano la televisione per rilassarsi, non
per studiare una qualche strana materia. Stavo quasi per abbandonarmi al sonno,
quando dalle formule iniziarono a cadere delle gocce di sangue, che ben presto
di trasformarono in veri e propri getti. Dal fondo sbucarono dei fiori pieni di
crepe e buchi che ondeggiavano a destra e a sinistra, come nati dall'acido. La
telecamera zoomò su uno di essi. Era di un giallo pallido, pelle di un malato
terminale. I petali sulla punte si ingrigivano e il polline sembrava sabbia.
Un'ape si avvicinò e si posò al centro del bocciolo. La sua lunga antenna
penetrò all'interno e iniziò a risucchiare tutto. Come un parassita che sfrutta
il corpo di un altro, sfinendolo. Vedevo il fiore che, se possibile, diveniva
ancora più malandato. Era triste. Come assistere ad uno stupro. D'un tratto
dall'antenna dell'insetto sbucò un libro, con la copertina nera, insignificante
si direbbe, che aprendosi mostrò il bianco più assoluto. Uno di quei bianchi
che non si trovano nemmeno sfregando forte e con tanto detersivo. Fu a quel
punto che il canale cambiò.
scrisse qualcosa. Mentre teneva ancora la penna in mano, la
porta si aprì ed entrarono le due signore insieme ad una ragazza. La dottoressa
apriva la fila e aveva sul viso un'espressione di pietà e compassione. Dietro
di lei l'anziana signora si teneva ad una ragazza. Quest'ultima guardò subito
verso la telecamera e io, seduto sul divano, sentii come una scossa. Era
bellissima, triste e sciupata ma bellissima. Aveva i capelli neri e mossi che
le scivolavano sulle spalle e le circondavano la schiena. Il fisico era alto ma
snello, tonico. Aveva la pelle pallida ma nonostante da essa trasparisse un
senso di stanchezza, si vedeva da lontano che era perfetta. Gli occhi erano di
un caldo marrone che brillava di sconforto. Non sapevo perché mi avesse colpito
così tanto quell'attrice, forse avevo visto altri suoi film...Ma non riuscivo a
staccarle gli occhi di dosso. Sembrava che mi stesse guardando, oltre la
televisione. Rimasi incantato così e solo dopo molto tempo mi accorsi che si
erano tutti avvicinati. Lei ora teneva il capo chino e una lacrima le solcava
una guancia. Avrei voluto piangere anche io ma mi sentivo come bloccato. Il
signore disse qualcosa, visibilmente meno agitato e la dottoressa annuì come a
sostegno. L'angelo abbracciò la signora, che si era come ripiegata su se stessa
quasi in agonia. Teneva il viso dall'altra parte e non capii se stesse parlando
ma immaginai di si perché dopo qualche
istante i due dottori si mossero quasi all'unisono, avvicinandosi ancora. Lui
andò verso la macchina di prima e premette qualche pulsante. Rimase a guardarlo
per qualche minuto mentre lei annotava qualcosa. Si guardarono e si fecero un
cenno. Poi lei disse qualcosa che mi arrivò anche se molto piano, qualcosa come
:” finita”. L'anziana lanciò un urlo, sempre attaccata alla fanciulla. Questa
la strinse ancora più forte e sapevo che non si poteva “sentire” attraverso uno
schermo ma io la sentii davvero quella stretta disperata. I dottori erano a
disagio anche se si capiva che erano abituati, sapevano cosa fare, così andarono
verso le personificazioni della sofferenza e, toccando loro le spalle, le
guidarono fuori dalla stanza. Solo la donna bionda si voltò, gli altri
scapparono fuori come se ci fosse un incendio. Lei guardò a sinistra, poi
guardò a destra, in basso verso il
pavimento e verso il soffitto. Poi si convinse finalmente e guardò fisso nella
telecamera, come quei saluti verso il pubblico che fanno gli attori teatrali
quando finiscono l'opera. Percepii una sorta di rammarico e di rassegnazione
nel suo sguardo e la sua bocca si piegò in un sorriso triste. La porta si chiuse e rimasi a fissare una stanza
vuota, come prima. Solo che questa volta c'era qualcosa di diverso, come
un'atmosfera cupa. Dopo qualche minuto iniziò a scurirsi tutto e apparvero
tante sfumature di grigio, bianco e nero. Ero quasi contento, immaginando che
il canale stesse cambiando per sintonizzarsi su qualcosa di meno deprimente.
Tutto divenne nero e io aspettai, e aspettai, e aspettai, ancora e ancora, ma
l'immagine non cambiò. Il televisore non si riaccese più.
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